Caso Budroni, rinviato a giudizio del poliziotto che lo ha ucciso sul Raccordo

ministero della Procura di Roma Giorgio Orano, una perizia balistica dei Ris di Roma, l’autopsia del consulente tecnico Costantino Ciannella e le testimonianze delle forze dell’ordine. Tutto Chiuse le indagini, la famiglia nei giorni scorsi è uscita allo scoperto. E’ stata ospite di “Chi l’ha visto” per cercare nuovi testimoni e spera di ottenere giustizia. E’ nato anche un sito internet che chiede attenzione e chiarezza sul caso. Come i casi Sandri e Cucchi, c’è sempre paura che quando ad essere sul banco degli imputati è lo Stato, le famiglie delle vittime non riescano a far piena luce contro il muro di gomma che si erge. E va detto che a differenza dei primi due casi, quello di Budroni ha avuto di sicuro meno clamore mediatico. 
Bernardino Budroni viveva con la famiglia in via Molise. L’operaio, classe 1971, è morto sul Grande raccordo anulare durante un inseguimento con spronamento contro due volanti della Polizia e una del Nucleo radiomobile dei Carabinieri, dopo due colpi esplosi da un poliziotto che si trovava a bordo di una delle “pantere”. Budroni, secondo gli inquirenti, si era recato in via Quintilio Varo, a Cinecittà, dove abita una donna di 41 anni separata dal marito – da cui ha avuto una figlia – e che Budroni aveva frequentato per 5 mesi, non accettando però la fine della storia. Budroni sarebbe andato lì, poco dopo la mezzanotte di sabato 30 luglio 2011, sfondato il portone dell’edificio con un “male e peggio”, il gabbiotto del portiere e danneggiando la porta dell’abitazione della donna, che ha chiamato i poliziotti.
All’arrivo della “pantera”, Budroni si sarebbe allontanato e non avrebbe rispettato l’alt degli agenti. Poi l’inseguimento sul Raccordo in direzione dell’uscita Nomentana, i tentativi di speronamento e i colpi di pistola contro la Ford Focus di Budroni.
Una storia dai contorni ancora tutti da chiarire. Una storia complicata, come tutte quelle in cui c’è un poliziotto che spara e un uomo che muore.
Subito dopo la morte di Budroni il pubblico ministero di Roma,Giorgio Orano, ha aperto un fascicolo sulla morte del quarantenne di Fonte Nuova, iscrivendo nel registro delle notizie di reato il poliziotto che ha fatto fuoco, accusato di omicidio colposo. Le indagini sono state delegate agli uomini diretti dal comandante del Nucleo operativo di Roma-Montesacro, il capitano dei carabinieri Carmine Mungiello.
Secondo quanto ricostruito dai carabinieri di Roma, la prima chiamata effettuata dalla donna da via Quintilio Varo è arrivata al 113 a mezzanotte, perché fuori dalla porta c’era Budroni che la minacciava.
Quando arrivano i poliziotti lui però non c’è e alla donna gli agenti dicono di presentarsi in commissariato il giorno dopo, per sporgere denuncia.
Sempre stando a quanto ricostruito dai carabinieri, quando gli agenti se ne vanno Budroni torna e la donna chiama nuovamente il 113.
Budroni avrebbe sfondato con un “male e peggio” la vetrina e il portone del palazzo e colpito la porta dell’appartamento della donna. Lui poi si sarebbe allontanato a bordo della sua Ford Focus, intercettata intorno alle 5 del mattino da una pantera della Polizia. All’alt intimato con la paletta su via Tuscolana, Budroni avrebbe accelerato, cominciando la fuga terminata sul raccordo. Fuga a cui si erano aggiunte un’altra auto della polizia e una dei carabinieri.
Secondo i carabinieri il 40enne di Fonte Nuova avrebbe cercato di speronare per due volte la macchina della polizia, danneggiando sia la sua macchina che la volante. Poi all’altezza dell’uscita Bretellina i due colpi, uno letale.
Il processo che potrebbe iniziare il prossimo anno, servirà per rispondere ai tanti interrogativi rimasti appesi da quella sera: serviva ingaggiare un inseguimento ? Serviva farlo per fermare un’auto regolarmente intestata ad un uomo di cui si sapeva tutto? Serviva sparare?

Sono tre le vetture all’inseguimento della Ford Focus guidata da Bernardino Budroni, al momento dei due spari, all’altezza dell’uscita del Raccordo Anulare Centrale del Latte.
Due sono le volanti della Polizia, una è del nucleo radiomobile dei carabinieri.
Stando alle testimonianze dei testimoni, la prima vettura all’inseguimento è l’Alfa Romeo 159 denominata “Volante 10”, dove alla guida c’è l’assistente Marco S. e come passeggero Michele Paone, l’agente scelto che ha poi sparato i due colpi. Sono loro a dichiarare di inseguire Budroni sin dalla Tuscolana, quando il 41enne di Santa Lucia stava sfrecciando a fari spenti in direzione Raccordo.
La seconda macchina a mettersi all’inseguimento è l’Alfa 159 dei carabinieri che stava sul cavalcavia che sovrasta il Raccordo. Quando vedono arrivare la Focus e la volante della Polizia all’inseguimento, decidono di andare in soccorso. E’ guidata dall’appuntato Emiliano D.G. con a fianco il caposervizio brigadiere Carmelo P.
La terza Alfa 159 della Polizia denominata “Beta Como” è guidata dall’ispettore superiore Massimiliano C. affiancato dall’assistente capo Stefano Maria R. I due dicono che stavamo fermi sulla Tiburtina all’altezza di Settecamini e quando sono stati avvertiti via radio, si sono posizionati all’imbocco del Raccordo in attesa delle tre vetture che sono prontamente arrivate.

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LA DINAMICA DELL’INSEGUIMENTO
Stando alle testimonianze dei poliziotti, dunque, la “Volante 10” insegue la Focus di Budroni per tutto il tempo. Poco dopo si aggiungono i carabinieri e all’altezza della Tiburtina, cioè poco prima della fine, l’altra volante denominata “Beta Como”. La Focus di Budroni andava a una velocità di circa 180 chilometri orari durante l’inseguimento e cambiava spesso direzione, “dribblando” le poche macchine presenti a quell’ora sul Raccordo Anulare e tentando di speronare le macchine al suo inseguimento. Ma quando le auto diventano tre, il 41enne è praticamente accerchiato non può proseguire la fuga.
Cosa succede in quegli ultimi istanti? Sempre stando alle varie versioni e al riscontro della balistica, nell’ultimo tratto la “Volante 10” da cui poi arrivano i due colpi, è sul lato sinistro della Focus. L’altra volante, la “Beta Como” rimane quasi sempre dietro, anche perché è l’ultima arrivata. L’auto dei carabinieri invece riesce a superare la Focus e si mette davanti. Poi inizia un’operazione per farlo rallentare con dei colpetti di freno. La cosa sembra funzionare. L’ultima volante prova ad affiancarlo sulla destra per concludere quell’operazione che in gergo viene chiamata “a triangolo”, ma anche per evitare che la Focus prendesse la direzione Centrale del Latte, visto che ormai gli agenti sapevano dove abitava. Sempre stando alla testimonianza delle forze dell’ordine, a quel punto Budroni avrebbe dato un colpo di sterzo verso destra, anche per evitare l’impatto con la macchina dei carabinieri che ormai gli aveva bloccato ogni passaggio. A quel punto la Focus sbatte con il fianco posteriore destro contro la parte anteriore sinistra della “Beta Como” che era dietro e cercava di portarsi alla sua destra per concludere l’accerchiamento a triangolo.
In conseguenza dell’urto, la Ford subisce una rotazione oraria con la parte posteriore rivolta al centro della strada e il fronte verso il margine destro, si riposiziona in traiettoria rettilinea e visto che era bloccata davanti e a sinistra, provava di nuovo una fuga verso la corsia d’emergenza, impattando però con la propria parte anteriore destro contro la barriera di guard rail arrestando definitivamente la propria corsa.
Insomma una situazione drammatica, dove però le forze dell’ordine sembrano riuscire a “intrappolare” il fuggitivo. Ma un agente tira fuori la pistola e spara due colpi. Perché? Serviva davvero?


GLI SPARI
Se le testimonianze degli agenti di Polizia rimangono abbastanza vaghe sugli spari, quella del carabiniere Emiliano D.G., lascia spazio a molti dubbi. «Ho avuto modo di stringerlo contro il guard rail costringendolo in pratica a rallentare fino a fermarsi – spiega al pubblico ministero Giorgio Orano che l’ha interrogato a caldo – Appena ci siamo fermati, direi quasi contestualmente all’arresto dei veicoli, ho sentito due colpi di pistola».
Qual era dunque la velocità di Budroni quando è stato colpito dai due colpi di pistola dell’agente scelto Paone?
Stando all’indagine balistica dei Ris di Roma, il primo colpo è stato sparato da una distanza tra i 4 e i 5 metri; il secondo quando la distanza era diminuita e compresa tra i 2,4 e i 4,6 metri. La velocità è ipotizzata tra i 50 e gli 80 chilometri orari. Tra il primo e il secondo sparo passa una frazione di secondo, tra 0,9 e 1,4.

Colpi sparati a distanza ravvicinata quando ormai sembrava in trappola.


LA DIFESA DELL’AGENTE MICHELE PAONE
Indagato per omicidio colposo, mercoledì 19 dicembre potrebbe rischiare il rinvio a giudizio l’agente scelto Michele Paone, 29 anni.
«Ho estratto la pistola pochi istanti prima di sparare – racconta anche lui al pm Orano – mi preme sottolineare che io e il collega, a differenza degli altri operanti impegnati nell’inseguimento, ci eravamo occupati quella notte di Budroni e sulla base dei comportamenti tenuti dal suddetto nei confronti della ex convivente e dei danneggiamenti dallo stesso perpetrati, avevamo motivo di credere che lo stesso fosse armato quanto meno di un coltello. Inoltre avevo appreso che in passato a Budroni era stato sequestrato un fucile dai carabinieri, arma che deteneva illegalmente. Ecco perché comunque nel momento in cui ci siamo affiancato al fuggiasco, ho estratto la pistola. […] Quando ho puntato l’arma il mio braccio era perfettamente in asse con la ruota posteriore sinistra della autovettura di Budroni. Poi sicuramente, anche a causa del contatto avvenuto tra la sua macchina e la volante Beta Como e comunque a causa dei continui tentativi di Budroni di svicolare e speronare, il mio bersaglio, come detto la suota posteriore sinistra, deve essersi improvvisamente spostato così che i colpi non hanno centrato la ruota».
A che velocità andavate? Quanto tempo è passato fra l’esplosione dei colpi e l’arresto definitivo dei veicoli, ossia alla fine dell’inseguimento? A queste due domande formulate dal sostituto procuratore di Roma, Paone dice di non essere in grado di rispondere.
Paone inoltre spiega che nessuno dei suoi superiori gli aveva ordinato di aprire il fuoco.

LA FAMIGLIA BUDRONI
Non si danno pace a casa Budroni, in via Molise a Santa Lucia. La sorella Claudia, i genitori di Bernardino, Virgilio e Rossana, sono andati a “Chi l’ha visto” ala ricerca di nuovi testimoni e chiedono giustizia per il 41enne che «ha sbagliato a fare ciò che ha fatto a Cinecittà», ma non meritava quella che a loro detta è una vera e propria «esecuzione».
«Sono troppe le cose che non tornano – dice la sorella Claudia Budroni, 44 anni – nelle testimonianze si parla di velocità assurde, ma la verità è che mio fratello era praticamente fermo quando gli hanno sparato. Non capisco come sia possibile sparare un colpo ad altezza uomo da una distanza così ravvicinata. Ormai era intrappolato e non avrebbe potuto scappare di nuovo. Le testimonianze dei colleghi sono a tratti discordanti tra di loro. Non si capisce se ci si vedeva bene o era ancora buio, non si capisce l’orario preciso visto che dicono “intorno alle 5”, non si capisce dopo quanto tempo sia arrivata l’ambulanza. L’autopsia dice che stando alla ferita mio fratello è morto entro pochi minuti. Allora perché risulta morto in ambulanza? Non abbiamo delle foto della sua posizione e ho paura che sia stato spostato con il corpo».
Uno dei dubbi principali è sulla pistola che viene rinvenuta in auto di Budroni. Per un momento si pensa che fosse stata usata anche sotto casa dell’ex findanzata, perché c’è un colpo di pistola vicino al portone. Ma è l’ex portiere a testimoniare che sono i ricordi di un capodanno di dieci anni prima da parte di qualche ignoto. In realtà poi nessun agente dice di averla vista in mano a Budroni o a bordo della sua vettura, eppure Paone sospetta che potesse essere armato.
«Mi sembra assurdo che non sia stata messa sotto sequestro – dice ancora la sorella Claudia – chi lo dice che era sua? Nella registrazione delle telefonate tra gli agenti e la centrale, “a caldo” dicono di aver trovato una pistola sotto al sedile. Invece poi ci sono le foto che la immortalano sul sedile a fianco al guidatore con la canna rivolta verso il cruscotto. Chi ce l’ha messa? E’ vero come dicono alcuni testimoni che la pistola è stata presa e poi rimessa a posto? Non vorrei che qualcuno provasse a dire che avevano visto mio fratello esibire l’arma. E’ sconcertante che qualche mese fa mio fratello sia anche stato condannato in contumacia per un vecchio possesso di armi. In realtà erano una piccola balestra che si può comprare anche nei negozi di souvenir senza porto d’armi e una scacciacani. Mi sembra che stiano accadendo troppe cose strane dopo quell’episodio, per questo motivo mi piacerebbe tenere alta l’attenzione mediatica sul caso».
Ma la famiglia arriva a mettere in dubbio tutta la ricostruzione. «A rileggere tutti gli atti ed ascoltare i fonici delle telefonate con la centrale – conclude Claudia – mi sembra che ci sia poca chiarezza, a tratti non si capisce chi guida, quanto tempo sia durato tutto questo inseguimento. Un testimone dice che andavano a 180 all’ora e che da Tiburtina alla Centrale del Latte siano passati 5 minuti. Ma com’è possibile? In tasca a mio fratello è stato trovato uno scontrino di un pub intorno alle 4 del mattino. Secondo noi non c’è mai stato il lungo inseguimento sin dalla Tuscolana e c’è un testimone che sarebbe pronto a dire di averlo visto intorno a quell’ora. Speriamo solo che il processo serva a fare maggiore chiarezza, anche se sappiamo che ormai Dino non ce lo restituisce più nessuno».

 

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