In bici fino a Cesenatico per ricordare Pantani. Intervista all’uomo che pedalò fino al circolo polare

omar difelice2In bicicletta fino a Cesenatico per omaggiare Marco Pantani. E’ l’ennesima impresa che sabato 15 febbraio tenterà di compiere Omar Di Felice, 32 anni di Guidonia, ultracycler, ciclista che si cimenta con le sfide più audaci e che mettono a dura prova la resistenza fisica con un passato da professionista. Partirà da piazza San Pietro alle 4 del mattino, e conta di arrivare nel primo pomeriggio in Romagna, dove prenderà parte alla manifestazione organizzata per il decennale della scomparsa del “Pirata”.
“Ho avuto un contatto con il giornalista Francesco Ceniti, autore dell’ultimo libro edicato a Pantani dal titolo “In nome di Marco”, e successivamente con mamma Tonina – spiega Omar -. Mi hanno invitato a parlare della mia passione per il ciclismo nel giorno in cui consegneranno a Vincenzo Nibali la maglia gialla che nel 1998 fu di Pantani. Allora ho pensato di onorarlo con una lunga pedalata, lui che mi ha fatto sognare con le sue gesta in salita e che ha poi lasciato un vuoto incolmabile nel cuore degli sportivi. La mia pedalata si chiamerà come il libro: in nome di Marco. E sarò in sella da solo. A seguirmi in auto ci sarà come sempre la mia fidanzata Sara De Simoni. A filmarmi una troupe della Rai”.

 

Che percorso farà?
“Ho preparato un paio di alternative, nel caso in cui sull’Appennino dovessi trovare avverse condizioni meteorologiche. Da Roma andrò verso Monterotondo e Orte, poi taglierò l’Umbria e raggiungerò le Marche. Mi piacerebbe scalare il Carpegna, salita che Pantani faceva spesso in allenamento. Conto di arrivare a Cesenatico intorno alle 17, dopo dodici o tredici ore, soste tecniche comprese, e circa 350 chilometri”.

 

Quando ha deciso di pianificare imprese che sembrano impossibili per uno sportivo comune?
“La mia carriera si è conclusa dopo un anno e mezzo di professionismo. Ho staccato la spina per un po’, ma ho sempre avuto il pallino del ciclismo estremo. E ho iniziato a praticarlo quasi per gioco, iscrivendomi alla Race Cross the Alps del 2012, che ho concluso al quinto posto. L’anno scorso ho collezionato due terzi posti, uno al TorTour in Svizzera e l’altro alla Race Across Italy”.

 

Le avventure più belle?
“Due anni fa decisi di realizzare un pellegrinaggio a pedali da Lourdes a Santiago de Compostela. Un’esperienza straordinaria, in cui ho percorso 1.300 chilometri in quattro tappe, in solitudine e in autosufficienza con uno zainetto in spalla. Da lì in poi ci ha preso gusto. L’anno scorso mi sono inventato l’avventura tra le cime della leggenda, suddividendola in tre capitoli. Il primo l’ho dedicato alle salite più famose d’Italia. Sono partito da Bormio, ai piedi dello Stelvio, in Valtellina, e sono arrivato sullo Zoncolan, in Friuli, dopo aver scalato Gavia, Mortirolo e tutti gli storici passi dolomitici, superando in totale 20 mila metri di dislivello. Proprio in questi giorni sto pianificando la seconda “puntata”, dedicata alle cime del Tour de France. Partirò dal Mont Ventoux, la data è in via di definizione, compatibilmente con l’apertura dei passi. Il terzo e ultimo capitolo lo “scriverò” in Spagna, nel 2015, sulle salite della Vuelta. Gli itinerari si aggirano sempre intorno ai 600 chilometri”.

 

Quanto si soffre durante questi viaggi estremi?
“Mi definisco un appassionato di sport estremo molto particolare. Faccio l’ultracycler ma non provo piacere nella sofferenza. Anzi, faccio di tutto per sentire il meno possibile la fatica e arrivare preparato agli appuntamenti che programmo.L’obiettivo è quello di gestire sempre tutto con lucidità”.

 

Che tipo di allenamenti sostiene e come fa a conciliarli col lavoro?
“Esco in bici almeno sei giorni la settimana e svolgo delle sessioni molto pesanti, basate sia sulla resistenza che su lavori specifici. Sia per esigenze legate alla mia attività di web designer e consulente informatico, che per la preparazione a un certo tipo di sfide, mi alleno spesso all’alba. Oppure salto il pranzo e pedalo a digiuno. Inoltre simulo delle uscite notturne sui Simbruini, sempre con auto al seguito che mi illumina e mi permette di rischiare il meno possibile”.

 

L’ultima impresa l’ha compiuta all’inizio dell’anno, in Norvegia. Quattro tappe e 700 chilometri da Tromsoe a Nordkapp.

“Ho sempre avuto la passione per il grande freddo. E ho pensato che nessuno aveva mai provato a raggiungere Capo Nord in bicicletta. Per pedalare costantemente tra i -10 e i -20 gradi ho svolto una preparazione mirata, con abbigliamento apposito e stage in altura. Diciamo che cerco di calcolare sempre ogni rischio. Le mie sfide non sono follie. O se lo sono, faccio in modo che siano alla mia portata”.

 

Però pedalare nel Circolo Polare Artico non deve essere stato facile.
“L’approccio è stato più difficile di quello che avevo immaginato. Per la prima volta ho avuto un momento di sconforto. Ho detto al mio staff che stavolta non ce l’avrei fatta a rispettare il programma originale. Non riuscivo ad andare avanti. Poi ho preso confidenza con l’asfalto reso insidioso dalla neve e dal ghiaccio e sono riuscito a gestirmi”.

 

Cos’è per lei la bicicletta?
“E’ un modo di intendere la vita. Questo straordinario mezzo ti allena a superare le difficoltà, ti forgia per la vita. Con lei impari a soffrire, ma anche a gioire.E io ho scelto da sempre il ciclismo per essere felice”.

Giuseppe Scordo

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