A pochi giorni dal terzo anniversario della morte di Marco Rotilio, il bimbo di tre anni investito da una motocicletta a Fiano Romano mentre attraversava la strada insieme al papà, l’associazione “In difesa di Abele”, per bocca del presidente Simona Bossi, tiene a ricordare il piccolo.
Di seguito la lettera firmata da Simona Bossi.
“Oggi voglio ricordare una tragedia di cui fra pochi giorni ricorre il terzo anniversario: la morte di un bimbo, a Fiano Romano, nelle splendide e verdi campagne romane, un piccolo che aveva 4 anni ed a cui, in un caldo giorno di luglio del 2011, venne rubata la gioia, l’innocenza, l’entusiasmo… in una parola la vita.
Una vita spenta dalla superficialità e dall’arroganza di un giovane, minorenne, che alla guida di una moto di 125 c.c. senza patente e senza assicurazione, perse il controllo del mezzo ad alta velocità travolgendo ed uccidendo il bimbo, che attraversava la strada con il suo papà. Il ragazzo dopo l’incidente fuggì e venne individuato solo successivamente dai Carabinieri di Fiano Romano. Da quel momento ed in un attimo tante, troppe vite, sono state gettate nel limbo della disperazione e perdute insieme a quella del piccolo: la mamma, il papà, i nonni, gli zii.
Nessuno di loro potrà mai superare il dolore di una tragedia come quella, perché le loro anime si sono strette, allora e per sempre, nello strazio, agognando solo giustizia, ma rinunciando al respiro vitale della speranza. Come ultimo atto i genitori decisero di fare un gesto d’ amore, donando gli organi del loro bambino e salvando la vita di tre bambine che, grazie alla piccola vittima, tornarono a sorridere Il dovere dell’uomo, in una società civile, sarebbe quello di rendere giustizia a questa vittima ed alle vittime tutte, ma il moderno, pubblico buonismo rivolge oggi i propri sforzi empatici unicamente alla tutela dei carnefici, elevati al ruolo di vittime, giustificati e compatiti come martiri e prodotti di un contesto sociale egoista, individualista ed edonista; come se il peso delle responsabilità delle loro malefatte non potesse non pesare anche su quella collettività considerata unica responsabile della creazione di questi mostri, come se le colpe dovessero essere ripartite in capo a tutti e non imputate al colpevole, imponendo per questo il perdono a coloro che vittime sono davvero e condannandole all’espiazione a prescindere, come se delle tragedie subite ne avessero, almeno in parte, la responsabilità. In tutto ciò si rischia di non vedere che la più grande responsabilità del dilagare della delinquenza, giustificata quasi come deterrente contro la disoccupazione e l’isolamento sociale, è proprio di quei buonisti che, con le perverse filosofie che promuovono, scientemente contribuiscono ad allargare la frattura dell’antica contrapposizione fra il male ed il bene, uccidendo lentamente l’armonia dei Popoli.
Perciò, l’assassino che ha ucciso quel bimbo, nonostante fosse stato, allora, accusato di omicidio colposo, non ha scontato alcuna pena, come nessuna pena hanno scontato tanti altri assassini che continueranno ad opprimere il mondo dei giusti con la loro arroganza, l’arroganza di coloro che ritengono che la propria libertà non abbia confini, financo a calpestare quella degli altri rubando loro addirittura la vita: nella tragedia che abbiamo raccontato l’allora minorenne è cresciuto, ha preso la patente, guida auto costose ad alta velocità e non perde occasione per ostentare sfacciatamente la propria vittoria di impunità a coloro che ancora piangono la perdita del loro bambino.
Questa non è giustizia, questa non è civiltà: mi vergogno di appartenere ad una società a tal punto approssimativa, futile, distratta e corrotta da lasciare che il bene ed il male si fondano al punto da cancellarne il confine, dimenticando forse che il Popolo siamo, sì, tutti, ma anche ciascuno”.
Simona Bossi
Presidente Associazione “In difesa di Abele”