“Conosco lui e lui conosce tutta la mia famiglia da anni – spiega Claudia Budroni – quando mi ha proposto di candidarmi sono rimasta lusingata e ho accettato perché è una persona che merita, e in silenzio ha sempre seguito la vicenda di mio fratello. La mia idea della politica è che non sono i colori che si sbandierano, ma le persone che le rappresentano. I nostri morti non hanno bandiera e né tantomeno gli è stato chiesto prima che venissero uccisi. Il diritto alla vita deve essere unanime per tutti e in questo Francesco lo rappresenta nel meglio”.
Dopo l’assoluzione in primo grado all’agente che ha sparato il fratello, ora Claudia, sorella di Dino, sta combattendo per accendere i riflettori sul processo d’Appello che è iniziato lo scorso 4 aprile. Per questo motivo giovedì 31 marzo si è tenuta una conferenza alla Sala Stampa della Camera in via della Missione 4, organizzata dall’associazione Acad che segue i casi in cui le vittime siano morte per mano delle forze dell’ordine. Ovviamente per questo, come per tutti gli altri casi, le dinamiche e le responsabilità vanno sempre accertate in giudizio.
Dino Budroni, secondo gli inquirenti, si era recato in via Quintilio Varo, a Cinecittà, dove abita una donna di 41 anni separata dal marito – da cui ha avuto un figlio – e che Budroni aveva frequentato per 5 mesi, non accettando però che la storia potesse finire. Budroni sarebbe andato lì, poco dopo la mezzanotte di sabato 30 luglio 2011, danneggiando il portone dell’edificio, il gabbiotto del portiere e la porta dell’abitazione della donna, che ha chiamato i poliziotti.
All’arrivo della “pantera”, Budroni si sarebbe allontanato. Poi l’inseguimento sul Raccordo in direzione dell’uscita Nomentana. All’altezza dell’uscita Bretellina i due colpi, di cui uno letale sparato dall’agente di Polizia Michele Paone quando la sua macchina era praticamente ferma. Il 15 luglio 2014 l’assoluzione dall’accusa di omicidio colposo.