Inchiesta Babylonia: pene dimezzate, cade il metodo mafioso

Per Antonello e Sebastiano Cellammare di Monterotondo

Nessun metodo mafioso. La Corte di appello di Roma rivoluziona la sentenza di primo grado, che nel maggio del 2019, aveva ritenuto operante nell’area eretina, con epicentro Monterotondo, un gruppo che, in singoli episodi avrebbe agito all’occorrenza in stile da clan. Come quello che anni fa aveva portato a sfilare il bar Vittoria al patron storico, Alberto Di Carmine. Cancellata l’aggravante del metodo mafioso la II sezione penale della Corte d’appello di Roma – presieduta da Agatella Giuffrida – ha così disposto di conseguenza per i personaggi cardine dell’inchiesta Babylonia una forte riduzione delle pene, allargata anche a chi non avesse la specifica contestazione.

Le condanne di Antonello e Sebastiano, figlio e fratello e quindi eredi di Pino Cellamare, patron del “Cafè Mirage”, ormai scomparso, si sono ridotte a 7 anni e 8 mesi per il primo a 5 anni e 5 mesi per il secondo. La pena precedente prevedeva quasi 10 anni per entrambi. Erano stati considerati tra i protagonisti dell’affaire bar Vittoria.

Un sollievo anche per i fratelli Trantino, commercianti noti a Monterotondo, secondo l’accusa iniziale, altro gruppo criminale all’occorrenza in asse coi Cellamare. A Carmelo Trantino erano stati inflitti 10 anni e 9 mesi, al fratello Francesco 10 anni, per lo più per una raffica di episodi di usura. Le pene, anche per loro, hanno subìto una netta sforbiciata. Carmelo ha avuto 3 anni e 4 mesi, Francesco 4 anni e 1 mese.

LEGGI ANCHE  TIVOLI - Nuovi marciapiedi in via Tiburtina, il pino crolla sulle Terme

In particolare all’estorsione del bar della Vittoria, in base alla ricostruzione del pm Nadia Plastina, titolare dell’inchiesta, avevano partecipato a vario titolo nove imputati. Tra questi l’imprenditore mentanese, Andrea Scanzani, un asso nel campo delle slote machine e <<per questro trait d’union con i Cellamare>>, condannato in primo grado a 7 anni e 4 mesi. In appello la pena per lui è stata portata a 4 anni.

Per Stefano De Caprio noto come “Cima”, invece, la nuova condanna è stata ridefinita a 4 anni, due in meno da quella iniziale.

LA PROVVISIONALE

Per Stefano Di Caprio e Andrea Scanzani i giudici hanno confermato una provvisionale in favore della vittima e parte civile Alberto Di Carmine però ridotta da 100mila euro a 50mila euro.

Per entrambi gli imputati è stata eliminata la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, sostituita con la temporanea. Stessa decisione per i fratelli Trantino e Sebastiano Cellamare.

Dimezzata la condanna per l’unica donna coinvolta, Lucrezia Veronoli: da 5 anni a 2 anni e mezzo. La vedova di Pino Cellamare era accusata di occuparsi del ritiro di quote usuraie.

LEGGI ANCHE  Cortei ed eventi, a Roma modifiche alla viabilità nel week end

Nella requisitoria di primo grado la procura aveva disegnato una Monterotondo nascosta. Da un lato presunti criminali che dettavano legge e dicevano agli scagnozzi: “Dovete menare bene e più”. Dall’altra le vittime, negozianti e imprenditori, manager e agenti immobiliari, gente strozzata dalla crisi e ridotta al lastrico dagli usurai, che per anni non hanno sporto denuncia, piegando sempre più la testa.

La scritta sotto casa: “Mo voi campà?”; l’incendio dell’auto della fidanzata; gli inseguimenti e le minacce. L’inchiesta aveva rivelato che la vendita del bar Vittoria di Monterotondo, tra il 2012 e il 2014, era stata una costrizione architettata dai Cellamare. Una indagine nata, però, non sulla scorta della denuncia del titolare del bar, intimidito, ma su intercettazioni telefoniche concentrate sul costruttore di Guidonia.

 

LA PRECISAZIONE

Relativamente alla posizione di Gaetano Vitagliano, si precisa che è stato assolto dall’accusa di falso perché “il fatto non sussiste”. L’avvocato difensore inoltre fa sapere che non ha mai riportato condanne per reati di stampo mafioso, né per reati aggravati.

Condividi l'articolo:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.