“Terme di Roma piscine non termali, quindi giù le mani dai laghetti”. E’ lo striscione affisso oggi, sabato 16 gennaio, in via del Barco, la strada di Tivoli Terme che conduce alle quattro polle sorgive al centro di una battaglia legale senza esclusione di colpi con la Acque Albule Spa, la partecipata per il 60 per cento proprietà del Comune di Tivoli e per il restante 40% della Fincres di Bartolomeo Terranova che gestisce le storiche Terme di Roma.
Lo striscione è stato affisso alla vigilia di un’udienza che si terrà lunedì 18 gennaio presso il Tribunale civile di Tivoli al quale la Acque Albule Spa ha chiesto di eseguire la sentenza numero 875 pubblicata mercoledì 8 luglio 2020 dal Giudice Francesca Coccoli che ha condannato le Associazioni culturali “Bambù”, “Eden”, “Parco Tivoli”, “La Siesta” e la Società agricola “H2SO” a risarcire alla “Acque Albule Spa” un danno pari a 720.434 euro. Sulle polle aleggia lo spettro della decisione del giudice Coccoli che ha imposto il divieto di balneazione per concorrenza sleale. Proprio su quest’ordine lunedì prossimo è chiamato a decidere il giudice per le Esecuzioni.
Lo striscione affisso oggi fa riferimento al retroscena svelato dal settimanale Tiburno il 28 luglio 2020, ossia l fatto che l’acqua che scorre nelle piscine dello stabilimento di Bagni non è terapeutica, anzi è tale e quale a quella di altri impianti balneari. Nonostante sia stata definita curativa perfino dal Tribunale di Tivoli. Per questi motivi il 13 agosto 2020 è stata presentata una denuncia per truffa alla Procura da parte di due gestori delle quattro polle sorgive di via Prima Brega uscite sconfitte dalla “guerra dell’acqua” contro la Acque Albule Spa.
A sottoscrivere la denuncia sono stati Simone Romanzi, il 45enne tiburtino rappresentante dell’associazione culturale “Bambù” che gestisce l’omonimo stabilimento, e il 71enne Bruno Cinopri, tiburtino anche lui, presidente dell’associazione sportiva dilettantistica “Parco Tivoli” che gestisce l’omonima polla sorgiva nella zona del Barco. Entrambi si sono dichiarati vittime di un “pacco” rifilatogli all’esito di un giudizio civile durato otto anni e terminato l’8 luglio scorso con la sentenza 875/2020 che li ha condannati per concorrenza sleale.