Era iniziato tutto due anni fa con un banale litigio in auto.
Ma gli animi si erano talmente esasperati che lei aveva chiamato l’ambulanza, era finita in ospedale e in commissariato, piena di rabbia, davanti ai poliziotti lo aveva accusato delle peggiori nefandezze.
Accuse che in aula si sono ridimensionate fino a sciogliersi come neve al sole.
Così ieri, mercoledì 6 marzo, il Tribunale di Tivoli ha assolto perché il fatto non sussiste dall’accusa di maltrattamenti in famiglia un impiegato italiano di 47 anni residente a Guidonia Montecelio.
Il Collegio presieduto da Nicola Di Grazia – a latere i giudici Sergio Umbriano e Matteo Petrolati – ha inoltre disposto di non doversi procedere nei confronti dell’uomo per lesioni personali aggravate in quanto la moglie ha ritirato la querela, ma nello stesso tempo i magistrati hanno trasmesso gli atti alla Procura della Repubblica per valutare se la donna possa essere denunciata per falsa testimonianza e calunnia.
La vicenda ha avuto inizio il 17 gennaio 2022 a Marco Simone, quartiere residenziale di Guidonia Montecelio, dove il 47enne e la moglie 45enne abitano insieme al loro bambino.
Dal processo è emerso che quel giorno la famiglia era in auto quando i coniugi hanno iniziato a litigare per una questione economica.
Tra nervosismo ed esasperazione, la moglie avrebbe tentato di scendere dalla vettura e il marito di trattenerla, fatto sta che la 45enne allertò il 118, fu trasportata in ospedale, medicata e dimessa con una prognosi di 5 giorni.
A quel punto, scattò il “Codice Rosso”, la procedura prevista dalla legge che innesca il meccanismo giudiziario a tutela di chi subisce violenze, atti persecutori e maltrattamenti.
Ascoltata dalla Polizia, la donna raccontò a verbale di convivere con un compagno aggressivo e violento, in grado di consumare fino a 5 litri di vino al giorno.
La 45enne riferì anche di aver già subìto un altro paio di aggressioni, perfino durante la gravidanza, una il 17 gennaio 2019 e l’altra il 20 gennaio 2019, documentate da relativi referti rispettivamente da 10 giorni e sei giorni di prognosi.
Ma l’indomani, una volta sbollita la rabbia, la donna tornò in Commissariato per ritirare la querela nei confronti del compagno. Un tentativo parzialmente inutile, perché il maltrattamento in famiglia è un reato procedibile d’ufficio.
Così, sulla base del suo racconto, ad aprile 2022 l’impiegato fu sottoposto dal Tribunale di Tivoli alla misura cautelare del divieto di avvicinamento alla donna e al loro bambino, mentre il Tribunale per i Minori aprì un fascicolo a tutela del minore per valutare l’adeguatezza genitoriale dell’uomo.
Un fascicolo archiviato all’esito delle relazioni degli assistenti sociali che accertarono come la relazione tra moglie e marito continuasse serenamente nonostante il procedimento giudiziario in corso, attestando inoltre la rispettiva adeguatezza genitoriale.
Soltanto a settembre 2023, il Tribunale ha revocato al 47enne il divieto di avvicinamento alla donna e al bambino su istanza del suo legale di fiducia, l’avvocato Cesare Gai di Roma.
In aula i testimoni citati hanno escluso di aver mai visto la donna con ecchimosi e ferite.
E davanti ai giudici per due volte la stessa moglie ha giurato di aver enfatizzato l’episodio, ammettendo soltanto che entrambi erano stati protagonisti di litigi di coppia.
Un ridimensionamento del caso che ha suscitato perplessità nella stessa Procura di Tivoli che all’esito del dibattimento ha richiesto l’assoluzione dell’imputato, non escludendo che la donna possa essere stata minacciata.
Le motivazioni della sentenza saranno depositate tra 90 giorni.
“Si tratta di processi molto delicati – spiega l’avvocato Cesare Gai – nei confronti dei quali è sempre necessario un approccio prudente.
All’esito dell’istruttoria è emerso che i conviventi litigavano, ma non fino a cagionare ecchimosi e lesioni. Non a caso la coppia vive serenamente insieme col bambino.
In aula la signora ha semplicemente ridimensionato i fatti spiegandone la episodicità e la reale portata degli eventi.
La signora ha inoltre escluso minacce tali da indurla ad una falsa testimonianza e dagli atti non sono emersi assolutamente elementi idonei ad attestare tale evenienza”.