TIVOLI – Il Tribunale nega gli arresti domiciliari, detenuto muore in cella

La sorella del 65enne tiburtino denuncia: “Era malato, non camminava e aveva bisogno di assistenza quotidiana”

Il quadro clinico era sufficientemente compromesso già al momento dell’arresto.

Affetto da varie patologie, secondo i medici del carcere di Rebibbia Giuseppe Ruggeri non riusciva neppure più a camminare e aveva bisogno di assistenza quotidiana e delle cure di strutture sanitarie specializzate.

Eppure, le condizioni del 65enne di Tivoli sono state considerate compatibili col regime carcerario da parte del consulente medico del Tribunale di Tivoli.

Neppure un mese dopo dal verdetto, Ruggeri è deceduto nel penitenziario per un’emorragia digestiva.

Per questo ieri, sabato 19 ottobre, la sorella maggiore Luciana, assistita dall’avvocato Pietro Nicotera, ha presentato una denuncia querela alla Procura di Roma per fare luce sul caso accertare eventuali responsabilità nel decesso dell’uomo.

Giuseppe Ruggeri era detenuto dal 12 luglio scorso, quando fu arrestato per duplice tentato omicidio dai Carabinieri della Compagnia di Tivoli e dagli agenti del locale Commissariato Distaccato di “Tivoli-Guidonia” (CLICCA E LEGGI L’ARTICOLO DI TIBURNO).

Armato di coltello, Ruggeri aggredì in strada la ex, una italiana di 33 anni, sfregiandola al volto, e tentò di ammazzare il nuovo compagno, un 40enne italiano, salvato da un giovane Carabiniere libero dal servizio.

Il resto della vicenda giudiziaria è agli atti della denuncia presentata dalla sorella dell’uomo, alla quale sono allegati il Diario clinico della Direzione Sanitaria di Rebibbia, l’esito della autopsia e il provvedimento del Giudice del Tribunale di Tivoli che ha negato i domiciliari.

Arrestato e recluso a Rebibbia, il 25 luglio l’avvocato Pietro Nicotera aveva presentato istanza al Tribunale di Tivoli chiedendo la sostituzione della misura cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari.

Nella richiesta il legale aveva evidenziato le condizioni psico fisiche di Ruggeri, non deambulante avendo subito l’amputazione di una gamba, e con problematiche di salute assai serie e gravi tali da non potere essere accudite e seguite nella maniera opportuna in ambiente inframurario.

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Ma il 27 luglio l’istanza fu respinta dal Giudice di turno che contemporaneamente dispose che la Direzione Sanitaria del carcere relazionasse sulle sue condizioni di salute valutando la compatibilità o meno con il regime del circuito penitenziario.

Era estate, forse anche per questo nel carcere di Rebibbia nessuno si mosse. Fatto sta che il 21 agosto e il 28 agosto il Giudice di turno reiterò la richiesta di consulenza medica alla Direzione Sanitaria del Carcere.

Soltanto il 4 settembre la relazione sanitaria del carcere fu trasmessa al Tribunale di Tivoli.

“… il paziente – aveva scritto la Direzione Sanitaria del carcere – è affetto da quadro multipatologico di rilevante entità, non deambulante e necessita di assistenza nelle attività di vita quotidiana, necessita inoltre di frequenti contatti con i presidi sanitari territoriali; in merito alla compatibilità o meno con il regime carcerario si rimanda al parere medico legale per giusta competenza o al parere di un Collegio di Periti nominati dall’Autorità Giudiziaria competente”.

A quel punto, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Tivoli titolare del fascicolo dispose un approfondimento peritale per verificare se le condizioni di salute di Giuseppe Ruggeri fossero effettivamente incompatibili con il regime carcerario.

Il 16 settembre il medico incaricato dal giudice depositò la sua relazione concludendo testualmente: “allo stato attuale si ritengono congrue ed idonee le cure sino ad ora prestate al detenuto presso la Casa Circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso e si ritiene che lo stesso sia in condizioni di compatibilità con in regime detentivo intramurario anche sotto il profilo del ricevere la necessaria assistenza”.

Ritenendo che le argomentazioni del perito fossero lineari, coerenti con la storia clinica di Ruggeri e prive di vizi logici, il 17 settembre il Giudice titolare respinse l’istanza per gli arresti domiciliari e lasciò il 65enne a Rebibbia.

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Ma sabato scorso 12 ottobre le già gravi condizioni di salute di Ruggeri sono precipitate.

Nella denuncia la sorella racconta che l’uomo si è sentito male ed è stato soccorso intorno alle ore 22,45 dal personale medico del carcere allertato dalla Polizia Penitenziaria.

Pare che Giuseppe Ruggeri fosse sulla sua branda, cianotico, privo di coscienza, i polsi ormai assenti. Sottoposto a manivre di rianimazione per circa 70 minuti, a mezzanotte e 5 era sopraggiunta l’automedica e trasportato in ospedale, dove alle ore 9 di domenica 13 ottobre è stato constatato il decesso.

L’autopsia eseguita l’indomani – lunedì 14 ottobre – presso l’Istituto di Medicina Legale dell’università “La Sapienza” di Roma ha chiarito che Giuseppe Ruggeri è morto per uno shock emorragico da ricondursi a Cirrosi Epatica.

Ora la sorella Luciana chiede alla Procura di Roma che venga fatta piena luce e nella denuncia ha richiesto9 il sequestro di tutta la documentazione sanitaria depositata presso la direzione Sanitaria del carcere di Rebibbia e del Policlinico “Umberto I” di Roma.

“In un momento in cui la situazione delle carceri è esplosiva – commenta l’avvocato Pietro Nicotera, legale di Luciana Ruggeri – questo caso dimostra ancor più l’emergenza in quanto la cosa assurda è che lo stesso carcere aveva segnalato che il soggetto aveva necessità costante di rapporti con presidi sanitari e, pur non esprimendosi, faceva rilevare l’inadeguatezza delle cure somministrate in sede detentiva.

Il Perito nominato dal Giudice, pur rilevando le gravi condizioni di salute, riteneva che il soggetto potesse essere curato in carcere.

Dopo pochi giorni moriva!

Peraltro che soffrisse di cirrosi epatica era noto sin dal momento dell’ingresso in carcere a luglio”.

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