Le aveva diagnosticato l’autismo fin dalla tenera età, riconoscendole la necessità di un percorso riabilitativo specifico.
Eppure a distanza di 5 anni dalla certificazione, la Asl Roma 5 di Tivoli e la Regione Lazio non hanno inserito la bambina nel progetto terapeutico con metodo Aba richiesto dai genitori, praticamente costretti a pagare di tasca propria le spese presso una struttura privata.
A riportare ordine nella farraginosa burocrazia è stato il Tribunale amministrativo regionale del Lazio.
Le avvocate Alessandra Pillinini e Daria Pietrocarlo
Con la sentenza numero 23441 – CLICCA E LEGGI LA SENTENZA – pubblicata martedì 24 dicembre 2024 i giudici amministrativi hanno accolto il ricorso presentato nel 2022 dalla coppia attraverso le avvocate Alessandra Pillinini e Daria Pietrocarlo, due legali di Roma specializzate nel settore di minori con autismo e trattamento riabilitativo con metodo Aba (Applied Behavior Analysis).
Il Collegio ha condiviso le conclusioni del Consulente tecnico d’ufficio del Tribunale stabilendo che il progetto terapeutico suggerito debba essere erogato direttamente dalla Asl competente o, in assenza di tale disponibilità, indirettamente mediante il ricorso a strutture accreditate presso la ASL stessa.
I giudici hanno inoltre riconosciuto ai genitori il diritto al risarcimento del danno patrimoniale consistente nel mancato rimborso delle spese sostenute per il trattamento Aba dal 23 luglio 2022 fino al giorno dell’effettiva erogazione per una somma pari a 3.110 euro e 50 centesimi, soldi pagati dalla coppia per assicurare alla bambina le terapie ritenute necessarie.
Il Tar ha addebitato all’Azienda sanitaria locale di Tivoli anche la parcella del Consulente tecnico d’ufficio, mentre i 2 mila euro per le spese di lite dovranno pagati in parti uguali con la Regione Lazio.
La Direzione Generale della Asl Roma 5 di Tivoli
Dal processo è emerso che fin dal 2017 la bambina era in carico al Servizio per la Tutela della Salute Mentale e Riabilitazione dell’Età Evolutiva (TSMREE) di Guidonia Montecelio della Asl Roma 5, avendo i medici condiviso la diagnosi di autismo.
E sulla base di due certificazioni – la prima del 31 maggio 2017 e la seconda del 31 gennaio 2020 – rilasciate dal Distretto di Monterotondo, la bimba era stata assegnataria di un Piano Educativo Individualizzato (PEI) per la realizzazione dell’integrazione scolastica attraverso insegnante di sostegno ed assistenza educativa specialistica attraverso la Comunicazione Aumentativa Alternativa (C.A.A.), erogata in favore degli alunni con disabilità nella comprensione e produzione del linguaggio.
Così nel 2018 la bambina fu inserita nel progetto riabilitativo presso il centro convenzionato Dahlia, a Colle Fiorito di Guidonia, ma nel frattempo i genitori – per una migliore riuscita del percorso riabilitativo – si erano rivolti anche al centro privato “Una Breccia nel Muro” dove la bambina, dall’età di 4 anni, aveva iniziato la terapia cognitivo-comportamentale praticata attraverso la metodologia Aba.
D’altronde, il progetto proposto dalla Asl è risultato illegittimo, perché non corrispondente ad un progetto terapeutico, e privo di un piano di cura ed assistenza con terapia ABA, necessaria per la bimba come da documentazione prodotta.
La Asl ha sottolineato come le liste d’attesa presso le strutture accreditate siano gestite dalla Regione Lazio che non ha provveduto ad integrare le prestazioni con la metodologia Aba.
La Regione Lazio ha provato a lavarsene le mani, ma i giudici hanno invece riconosciuto un ruolo decisivo della Regione nella gestione delle liste di attesa per l’erogazione delle terapie in questione e conseguentemente nella effettiva garanzia dei diritti controversi.