TIVOLI – “Una vita spezzata non vale 7 anni di galera”, la rabbia della mamma di Sami

Rosanna Fanelli: “Dall’assassino di mio figlio neppure le scuse: non lo perdono”

“Se i giudici continuano a infliggere pene così miti, si continuerà ad ammazzare.

Come si fa a credere in questa Giustizia?”.

E’ un fiume in piena Rosanna Fanelli, 50 anni di Tivoli, mamma di Sami Kourid, il 27enne italo-marocchino morto a gennaio 2023 dopo 5 mesi di agonia per essere rimasto gravemente ferito in piazza Giuseppe Garibaldi, nel centro della città.

Sami Kourid, il giovane di Tivoli morto a gennaio 2023 dopo 5 mesi in coma 

Mamma Rosanna ha seguito in prima persona tutti e tre i gradi di giudizio culminati venerdì scorso 27 giugno con la conferma da parte della Corte di Cassazione della condanna a 7 anni per omicidio preterintenzionale di Marco A., il 38enne italiano di Tivoli che ne ha causato il decesso con un pugno e uno spintone (CLICCA E LEGGI L’ARTICOLO DI TIBURNO).

– Cosa pensa della sentenza definitiva?

“Anche se gli davano l’ergastolo mio figlio non sarebbe tornato, ma la vita di una persona non può valere 7 anni, penso che non sia giusto.

Se i giudici continuano a infliggere pene così miti quando viene uccisa una persona, si continuerà ad ammazzare. E infatti è quello che sta succedendo.

Dovrebbero infliggere pene più severe.

Hai ucciso? Almeno 20 anni li devi scontare, perché sette li sconta chi va a rubare per far mangiare un figlio.

Non può essere”.

– Nel suo caso, quale sarebbe stata la condanna più giusta?

“Vent’anni avrebbero dovuto dargli, non 7 anni.

Da dieci anni e mezzo del primo grado sono scesi a 7 in Appello, non lo accetto.

Se uno ammazza, che abbia voluto o non voluto, dovrebbe stare dentro a vita perché ha tolto la vita ad un’altra persona”.

– Si dice che il vero ergastolo a vita è per i genitori rimasti orfani dei propri figli.

“E’ vero.

Perché io mamma sono orfana di mio figlio e i miei nipoti sono orfani del proprio papà e questo è ancora più doloroso.

Per questa tragedia loro sono in cura e non è giusto”.

– Come si sopravvive alla tragica perdita di un figlio?

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“Non vivi.

Io sto andando avanti con tanti problemi di salute, sto facendo degli accertamenti, sono seguita dai medici perché non sto bene per niente.

Dopo un lutto simile non si vive, vai avanti, ti alzi dal letto e giorno dopo giorno fai le stesse cose senza rendertene conto.

Da quando è morto Sami la mia vita è andata via insieme a lui, anche se ho un altro figlio, non ho più motivo di vivere, la mia vita è vuota, per me non conta più nulla”.

– Molti sostengono che in questi casi la Fede possa aiutare: è così?

“Anche io ho amiche che mi dicono che la Fede può aiutare.

Io dico sempre le preghiere per mio figlio, l’Eterno Riposo e altre due scritte da una signora, però io sono arrabbiata con Dio.

Spesso mi rivolgo a Lui: “Quando hai visto quel pugno e quella spinta che stavano arrivando a mio figlio, perché non li hai bloccati?”

Non è Dio il colpevole, ma non è giusto che sia andata così: Dio avrebbe dovuto fermare quella mano”.

– Riuscirà a riconciliarsi con Dio?

“Non lo so, per il momento no.

Il 25 luglio prossimo Sami avrebbe compiuto 30 anni e oggi pomeriggio vado a prenotare la messa per il compleanno.

Queste cose le faccio per mio figlio, ma per il momento non riesco a non essere arrabbiata con Dio”.

-Lei crede nella giustizia?

“Ci credevo, ma non troppo.

Dopo una sentenza simile per il caso di mio figlio Sami ci credo ancora meno.

Ribadendo che anche se gli davano l’ergastolo mio figlio non sarebbe tornato, almeno noi genitori non avremmo visto più questa persona in giro e saremmo riusciti a sopravvivere meglio.

Ma la giustizia non fa il suo percorso, non mi piace come funziona in Italia.

In un altro Paese sarebbe finita in maniera diversa.

Mio marito è romeno, mia suocera mi dice che se l’omicidio di Sami fosse accaduto in Romania i giudici avrebbero buttato le chiavi”.

– Ha mai ricevuto una dimostrazione di pentimento da parte dell’aggressore di Sami?

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“Appena successo il fatto, forse dopo un mese, mentre Sami era ricoverato in coma in ospedale, mi incontrò in un bar mentre ero seduta al tavolo in compagnia di mio marito, di mio figlio Diego e mio nipote Flavio.

Si avvicinò e io gli dissi: “Tu sei Marco, quello che mandato in fin di vita mio figlio?”.

E lui: “Sì, ma io non volevo, l’ho anche difeso. Ti capisco perché anche io ho una figlia”.

E io: “No, tu non mi puoi capire. Perché tua figlia ce l’hai vicina a te, io ho mio figlio in un letto di ospedale tra la vita e la morte. Io non ti potrò mai perdonare”.

Soltanto quella volta è venuto, poi non ho più visto né sentito né lui né la sua famiglia. Io conoscevo la mamma, eppure non ho mai avuto scuse.

Anzi, alcune parenti su Facebook sono state capaci anche di sputare sentenze brutte nei confronti di mio figlio, scrivendo che gli stava bene perché quella sera era ubriaco.

Anche se fosse stato ubriaco, nessuno aveva il diritto di aggredirlo.

E a maggior ragione se fosse stato ubriaco, non era in grado di difendersi e non lo doveva toccare. E la stessa cosa vale se fosse stato mio figlio ad aggredire: io sarei andato dai genitori, anche se mi avessero cacciata, avrei chiesto come stava, avrei fatto un passo verso la famiglia proprio perché sono una mamma.

Questo sente il cuore di una mamma verso un’altra mamma che sta passando una tragedia. Sono tanto amareggiata, non ho voglia di fare niente, vado avanti perché ho un altro figlio di 19 anni ad agosto e ha bisogno di me.

Faccio un pasto a pranzo, dormo due o tre ore a notte, la mia vita è vuota, non ho più la terra sotto i piedi: mi manca Sami, i figli sono la cosa più importante”.

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