Come può una famiglia di sette persone consumare acqua per un totale di oltre 20 mila euro in un mese?
Alla domanda legittima Acea Ato 2 Spa non ha mai risposto in maniera documentata, neppure davanti al Tribunale Civile di Tivoli presso il quale una coppia di utenti ha fatto ricorso e si è vista riconoscere il diritto alla fornitura nonostante la casa sia abusiva.
E’ un “pastrocchio” burocratico quello che emerge dalla sentenza pubblicata il 15 aprile dal giudice Caterina Liberati. Il magistrato ha condiviso le ragioni della coppia ordinando ad Acea di ripristinare la fornitura di acqua nei limiti del quantitativo minimo previsto di 50 litri per persona, ma al tempo stesso ha disposto la trasmissione degli atti e dei documenti del fascicolo alla Procura per le valutazioni di competenza.
Il caso riguarda infatti un fabbricato costruito abusivamente a Cesurni, il quartiere sorto sui terreni dell’ex Istituto Pio Santo Spirito oggi proprietà della Asl Roma 5, a Tivoli Terme. Un fabbricato fornito di acqua in virtù di un contratto stipulato in passato con una donna che vi abitava prima dell’arrivo della famiglia composta da moglie, marito e da cinque figli, tra cui una minore invalida al 100%. Un contratto mai volturato a favore del nuovo nucleo familiare che lo scorso anno aveva ricevuto la bolletta pazza contenente l’avviso di morosità di oltre 20 mila euro riferito al periodo compreso tra il 15 marzo 2019 e il 19 aprile 2019.
Un importo ritenuto sproporzionato rispetto al reale consumo che la famiglia di Cesurni subito contestò con reclamo scritto al quale non era seguito alcun riscontro da parte di Acea che per tutta risposta a luglio 2019 mise il sigillo al contatore.
A quel punto, la coppia appose il cosidetto “tronchetto” continuando ad avere libero accesso alla fornitura e al tempo stesso si è rivolta all’associazione inquilini Asia per fare ricorso al Tribunale civile attraverso l’avvocato Paolo Piacente.
Il legale ha evidenziato che la famiglia non ha ricevuto il preavviso scritto di distacco ribadendo l’essenzialità dell’acqua come bene vitale primario, soprattutto per sette persone, tra cui 5 figli una dei quali minore e invalida al 100%.
Acea ha replicato che la famiglia non era legittimata al ricorso non essendo intestataria del contatto e che non aveva diritto alla somministrazione dell’acqqua in quanto l’immobile è abusivo, senza contare il fatto che la famiglia aveva rimosso i sigilli e apposto il “tronchetto.
Il giudice ha letteralmente stroncato ogni ragione accampata da Acea. Secondo la Liberati, l’Ente erogatore avrebbe dovuto provare la quantità di consumo registrato, il corretto funzionamento del contatore e la corrispondenza tra quanto riportato in bolletta e quanto emerge dal contatore.
Aspetto decisivo a parere del giudice è che Acea non ha provato il corretto funzionamento del contatore, soprattutto alla luce della necessità di chiarire la notevole differenza di fatturazione tra la bolletta pazza e quella di altri mesi come quello tra il 25 giugno 2019 e il 30 luglio 2019 di un importo pari a 268 euro.
Tantomeno la stessa Acea ha addebitato i consumi ad una manomissione delle condutture.
Secondo l’interpretazione del Tribunale civile, cui non è dirimente il fatto che il contratto sia intestato a una terza persona, avendo la famiglia di Cesurni prodotto documentazione sufficiente per dimostrare di essere utente di fatto della fornitura di acqua.
Il giudice ha evidenziato tra l’altro come sia provato il fatto che Acea fornì l’acqua alla precedente residente nell’immobile abusivo ora come allora, ma tale abusività non ha impedito all’epoca l’allaccio dell’utenza.
Circostanza in apparente violazione con le norme del Testo unico dell’edilizia che vieta alle aziende di somministrare energia elettrica, acqua e gas ad abitazioni prive di permesso di costruire.
TIVOLI – Bolletta pazza non pagata, Acea deve fornire l’acqua
Richiesti 20 mila euro per presunti consumi a marzo 2019 ad una coppia di Cesurni con 5 figli, di cui una minore disabile. Sigilli al contatore, la famiglia si allaccia abusivamente. Il Tribunale dà torto all’azienda che non ha provato il reale consumo
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