I commercianti di neve

“Portami un chilo di neve”. Non è una frase in codice pronunciata da un uomo appartenetene ad un pericoloso cartello dei narcos ed intercettata dalla Criminalpol, impegnata a braccare una spedizione di cocaina. Si tratta della lecita richiesta, risalente alla metà dell’Ottocento, rivolta ad un venditore di neve. Già, perché in quel periodo era praticato il commercio della neve, finalizzato alla conservazione e alla vendita di una materia prima che trasformata in ghiaccio, in epoche prive di confort e tecnologia, era necessaria innanzitutto alla conservazione dei cibi ed utilizzabile anche in altri ambiti come quello terapeutico in quanto possibile surrogato antipiretico per la cura della febbre. Il commercio della neve era diretto prevalentemente verso Roma e coinvolgeva i paesi montani dell’hinterland, in particolare, nel nordest, alcuni territori ora compresi nel Parco dei Lucretili nei pressi di Monte Pellecchia. La raccolta della neve avveniva ovviamente nella stagione invernale e coinvolgeva numerose maestranze che davano vita a una vera e propria catena del ghiaccio.” In seguito alle precipitazioni, la neve veniva compressa e trasportata in appositi pozzi o cavità naturali per essere ulteriormente compattata. Il clima freddo, favorito dall’altitudine, e una continua opera di sorveglianza da parte dei lavoranti, consentiva alla neve di solidificarsi e trasformarsi, in breve tempo, in blocchi di ghiaccio di varie dimensioni e peso. Quest’ultimi, quando richiesto, venivano caricati sui carri e trasportati nel luogo di destinazione durante le ore notturne per evitare, il più possibile, la liquefazione del ghiaccio.

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