C’era una volta una casetta di mattoni in mezzo ai campi alle pendici di Tivoli. L’abitazione più vicina distava quasi un chilometro. Il centro abitato più visibile a occhio umano era la “Superba”.
Tutto intorno erano campagna e alberi, alberi e campagna. Erano gli anni Trenta e la fame si tagliava col coltello. Di giorno si tirava avanti come i somari facevano col carretto. E alla sera erano fagioli e patate, oppure patate e fagioli.
Era questa la storia di Jolanda Augusta Tiberi, la prima nata a Guidonia Montecelio, venuta al mondo il 28 novembre 1937 in quella che tutti all’epoca chiamavano Le Sprete e che oggi è Villanova, la frazione più popolosa con circa 18 mila residenti.
Cinque settimane prima della sua nascita – era il 21 ottobre 1937 – Benito Mussolini aveva fondato Guidonia Montecelio unificando l’antico Borgo di Montecelio a pezzi di terra strappati a Sant’Angelo Romano, Tivoli e Roma.
Jolanda Augusta si è spenta stamane, sabato 18 febbraio, all’ospedale “San Giovanni Evangelista” di Tivoli all’età di 85 anni.
Lascia i figli Mauro e Silvano, sei nipoti e tre pronipoti.
Con lei se ne va una donna che poteva vantare non soltanto il record di prima nata nella Città dell’Aria, ma anche quello di chi è nata, cresciuta e vissuta sempre nello stesso lotto di terra, quello di via Cesare Abba.
Oggi è una traversa di via Campolimpido a ridosso del complesso di case popolari dell’Ater e di via Giuseppe Garibaldi.
Ieri non esistevano i negozi e neppure la chiesa.
Quando lei era bambina non c’era nulla, se non gli aeroplani che atterravano e si alzavano in volo dalla vicina pista dell’aeroporto militare “Alfredo Barbieri”, facendo vibrare la sua casetta di 30 metri quadrati.
Nel 2007, in occasione dei 70 anni suoi e della Città dell’Aria, Jolanda Augusta Tiberi raccontò la sua storia in una lunga intervista a “Tiburno”, il settimanale locale della Città del Nord-Est in edicola dal 1990 al dicembre 2021.
Raccontò di essere l’unica figlia femmina – con 4 fratelli maschi – di contadini arrivati a Le Sprete dalla provincia di Rieti, di aver lasciato la scuola a dieci anni in quarta elementare, di aver lavorato come sarta e di aver conosciuto l’amore a 14 anni, di essersi fidanzata a 16 e di aver sposato all’età di 22 Guerrino Meddi, scomparso il 3 febbraio 2020, padre dei suoi tre figli, Mauro nato nel 1960, Luigino nato nel 1963 e deceduto nel 2012, e Silvano, oggi 53enne.
“A scuola ero bravissima – si schermì Jolanda durante l’intervista – non sapevo fare le divisioni, per cui mi hanno bocciata e non ci sono andata più”.
Che ricordi ha dell’infanzia?
In tempo di guerra era tutto un fuggi fuggi. Quando suonava l’allarme dovevamo scappare al ricovero. si mieteva la fame e ci arrangiavamo.
Ricordo che, lasciata la scuola, cucivo da un sarto a Ponte Lucano, mi portavo un pezzo di pane che doveva bastarmi tutto il giorno.
Mi sarei dovuta iscrivere ad una scuola di taglio, ma visto che non c’era la possibilità andavo prima a lavorare alla fattoria Conversi poi a raccogliere il tabacco. I miei fratelli invece andavano a pascolare le pecore con mio zio: non venivano pagati ma un po’ di formaggio e un po’ di ricotta le portavano a casa.
Prima però dovevamo raccogliere la legna per riscaldarci la sera: erano tempi duri adesso mi sento una signora.
Per la spesa come facevate?
Era dura, i negozi non c’erano. Dopo la guerra ci diedero la tessera per fare la spesa.
Potevamo avere uno sfilatino a testa, ma dovevo andare a fare la spesa scalza fino alle cave a Villalba.
Perché scalza?
Perché le scarpe non ce le avevo. Ce la passavamo male veramente. Oggi ci rido sopra.
Cosa comprava?
Sette sfilatini, uno a testa. Ma strada facendo li spuntavo, così quando tornavo a casa prendevo pure rimproveri e qualche schiaffo.
Tutte le sere mangiavamo pizza e polenta o fagioli e patate.
Quella era la vita.
Poi papà si mise a lavorare alle cave di travertino e costruimmo altre due camere.
Intanto Le Sprete si ingrandiva. Si costruivano case ma la strada era uno schifo.
C’era il sentore che era nato un nuovo Comune?
A quei tempi chi te lo faceva capire?
Doveva pensava di stare?
In mezzo a un deserto. Le Sprete era tutta campagna, se cascavi a faccia avanti ci rimanevi perché non c’era chi ti vedeva.
Pensi che se ci serviva una sciocchezza dovevamo partire a piedi e anna’ ar Comune.
E anche se dovevamo fare una spesa un po’ diversa da quella che facevamo al negozio di generi alimentari dovevamo andare a piedi a Tivoli.
Per la messa di Pasqua e di Natale papà ci portava a piedi a Quintiliolo o al Duomo a Tivoli, tutti per mano.
Com’era vista da Le Sprete Guidonia e l’aeroporto militare?
Mi ricordo che si bombardava, c’era la guerra e gli apparecchi ci passavano sopra la testa. Ne cascarono uno nel terreno nostro e un altro nella Tenuta Conversi.
Me lo ricordo per la paura.
La notte che si bombardava dovevamo scappare da Conversi, dove c’era un ricovero: eravamo tutti mezzi nudi e mezzi scalzi.
L’aeroporto era percepito come una realtà estranea alla città?
No, ci sono nata in quell’ambiente. Ricordo come fosse adesso due avieri che ci portavano la farina latte dell’aeroporto e mamma che ricambiava con le uova.
Ma quanta paura quando passavano gli aerei. Pure in tempi di pace.
Ricorda la prima volta che andò a Guidonia?
Andai con papà a fare un certificato, avevo 8 o 9 anni. M’è rimasto impresso quando ho visto il Comune.
Dissi a papà: “mamma mia, quanto è grossa questa casa. Perché la nostra è così piccola e questa è così grande?”.
Dopo quella prima volta, quando tornò a Guidonia?
Ogni volta che ci andavano mamma, papà o zio. Sempre a piedi.
In quanto tempo?
Una mezz’ora buona.
Con le scarpe?
Beh, certo. Anzi, no: erano le pantofole fatte a mano da mamma.
Quando ha sentito di far parte di quella “grande casa”?
Ero signorina e mi ero fidanzata. Soltanto allora mi feci una ragione che dovevo rivolgermi là per qualsiasi cosa.
Tant’è che per il compromesso al Comune andammo in bici insieme ai due testimoni.
Vi sentivate cittadini di Tivoli, di Guidonia Montecelio oppure di Le Sprete?
Di Le Sprete.
Prima del matrimonio quante volte era uscita da Le Sprete?
Solo una volta a dieci anni mamma mi portò in autobus a Roma dove lavorava come donna di servizio.
Vedere Roma che emozione le diede?
Fu bellissimo vedere tutte quelle case. Adesso ci sono anche qui a Villanova. Adesso sono troppe. E c’è troppa confusione. Non ci sto bene.
Tornerebbe mica 70 anni indietro nel tempo?
Settanta no, ma almeno 20. Quando tutta questa gente non c’era si stava più tranquilli, si aveva meno paura di dormire la notte: prima avevamo tutto aperto e i muri di recinto non c’erano. Invece ora i ladri ti vengono a pulire casa, perciò tocca chiudere a chiave, mettere l’allarme.
Questa è guerra veramente.
Oggi di dove si sente?
Mi sento di appartenere al Comune. Ma io sono di Le Sprete, non mi muoverei mai da qui.
Non andrei mai a vivere a Villalba o all’Albuccione, per esempio.
Eppure è sempre Comune di Guidonia Montecelio.
L’ambiente mio è questo. Da un’altra parte non mi ci ritroverei.
Cosa manca a Villanova?
L’autobus. C’era e lo hanno tolto, ma hanno sbagliato. I ragazzi devono fare a lotta per salire a bordo ed andare a scuola.
Villanova è la frazione più popolosa. Cosa invidia alle altre?
Nulla, solo la città è meglio.
Ma anche questa è una città.
No, c’è troppa gente che si impiccia. Non lo sopporto.
Gli impiccioni e le comari sono ovunque.
Ma qui ce ne sono troppi. In città se ti chiudi in casa, non ti conosce nessuno.
Com’è cambiata in 70 anni?
E’ cambiato in meglio.
Qual è il meglio di oggi?
Le comodità: la luce, l’acqua, il telefono, il gas. Prima se volevamo riscaldarci dovevamo accendere il fuoco.
Per queste comodità a chi deve dire grazie?
Al nostro lavoro e ai nostri soldi.
Cosa significa essere la prima nata a Guidonia Montecelio?
Mi sento una persona importante.
Il miglior sindaco che lei ricordi?
Dicono tutti bene di Filippo Lippiello, ma io neanche lo conosco. Non l’ho visto mai.
Le piacerebbe incontrarlo?
Certo che mi piacerebbe.
Perché?
Almeno per guardarlo in faccia e vedere che persona è.
Lanciamo l’appello pubblico per incontrarlo?
Mi vergogno.
Cosa le direbbe?
Non posso dire bravo perché non so se è bravo. Gli posso dire che è bello.
Il politico che ricorda?
Io non ci sono mai stata appresso alla politica. Ricordo che c’era Antonio Muratore (sindaco e tre volte senatore scomparso lo scorso 11 gennaio 2023, ndr), quello è stato un galantuomo (CLICCA E LEGGI L’ARTICOLO DI TIBURNO).
Quando morì mio fratello, mia cognata rimase con 3 figli e in cinta di sette mesi. Non aveva i soldi per pagare l’ostetrica e noi l’abbiamo aiutata tanto.
Andai in bici al Comune per parlare con qualcuno.
Mi si presentò un signore che mi disse: “Io sono Muratore”.
Gli dissi: “Non me ne volete, mia cognata è vedova e non riesce a campare con 4 figli. Avrebbe bisogno di un sostegno economico”.
Lui mi rispose: “Signora, non si preoccupi”. Mi fece un assegno di 20 mila lire. Era il 1966.
Ha più incontrato Antonio Muratore?
No, comunque lo ringrazio perché è stato una degna persona.
I funerali di Jolanda Augusta Tiberi saranno celebrati lunedì 20 febbraio alle ore 15 nella chiesa di San Giuseppe Artigiano a Villanova.