A dicembre 2022 venne presentata dalla Regione come una novità sensazionale: “Nel Lazio anche la circoncisione rituale verrà praticata in ospedale”.
Era in corso la campagna elettorale e l’allora assessore regionale alla Sanità Alessio D’Amato, da candidato alla carica di Governatore, annunciò l’aggiornamento del Cur (Catalogo unico regionale) e la possibilità di erogare la circoncisione rituale nell’ambito del servizio sanitario regionale nel rispetto delle culture e delle religioni altre.
Di fatto, ad oggi non è mai partito il servizio per i neonati dietro il pagamento di un ticket negli ospedali pubblici della Capitale, il San Camillo-Forlanini e il Policlinico Umberto I, indicati dalla Regione Lazio tre mesi fa.
Dopo la tragedia di Colonna, in cui ha perso la vita un neonato di 20 giorni (CLICCA E LEGGI L’ARTICOLO DI TIBURNO), come era già accaduto nel 2018 a Monterotondo, a lanciare l’allarme su FanPage è il dottor Foad Aodi, presidente dell’Amsi (Associazione medici di origine straniera in Italia) e della Co-mai (Comunità del mondo arabo in Italia), oltre che membro della Commissione Salute Globale Fnomceo.
Il dottor Aodi da tempo sottolinea il problema delle circoncisioni clandestine, ma ora chiede un incontro urgente al ministro della Salute Orazio Schillaci e al presidente della Regione Lazio Francesco Rocca.
“In Italia le circoncisioni clandestine sono circa il 40% – spiega il presidente dell’Amsi a FanPage – Vengono praticate a domicilio da persone non qualificate, che non rispettano le basilari norme igieniche: ricordiamo che sono vietate, si tratta di atti medici che devono essere eseguiti in strutture autorizzate con tutte le garanzie del caso“.
“Da più di dieci anni – prosegue il medico la sua dichiarazione a FanPage – chiediamo di risolvere la questione delle circoncisioni rituali inserendole nelle strutture sanitarie autorizzate e nel Servizio sanitario nazionale, dietro pagamento di un ticket.
Qui ci vanno di mezzo dei neonati innocenti, circoncisi da sedicenti santoni e non da personale medico competente, spesso perché le famiglie non hanno abbastanza informazioni a riguardo“.