Campeggiano ovunque, dalla Capitale alla provincia. Le loro immagini e i loro slogan non passano di certo inosservati.
Sono i manifesti pubblicitari di “Taffo Funeral Service” ed “Exequia Funeral Service”, due agenzie di pompe funebri riconducibili allo stesso proprietario, Luciano Taffo, diventate famose per pubblicità dall’imprenditore considerate ironiche.
C’è chi invece ritiene quegli slogan offensivi e osceni.
Federico Rosati, 31enne di Colle Fiorito di Guidonia, piccolo impresario di pompe funebri
Si tratta di Federico Rosati, 31enne di Colle Fiorito, quartiere del Comune di Guidonia Montecelio, piccolo impresario di pompe funebri che non ambisce di certo a concorrere con l’impero creato da Taffo, ma che ha perso il padre in giovane età e conosce il valore della morte.
Il quotidiano “Il Messaggero” riferisce che Rosati, assistito dall’avvocato Gian Maria Nicotera, suo legale di fiducia, ha presentato una querela perché gli slogan che hanno fatto la fortuna delle due imprese offenderebbero “in maniera incontrovertibile, senza limiti, la sacralità della morte”.
Nella querela Federico Rosati elenca alcuni slogan considerati offensivi.
“Previeni oggi, non ti vogliamo vedere domani”.
Oppure: “Ci sono due tipi di donne, quelle che denunciano…” e accanto allo slogan la foto di una bara.
E ancora: “Si schiatta di caldo” e “Sotto il sole non si respira”.
Uno slogan, questo, che secondo Federico Rosati, «deride – si legge sul quotidiano Il Messaggero – chi ha perso la vita a causa delle alte temperature come ad esempio il panettiere di 63 anni morto il 13 luglio scorso in provincia di Padova o il clochard deceduto a Roma, a Villa Gordiani, il 23 luglio».
“La Costituzione vieta le pubblicazioni contrarie al buon costume – spiega l’avvocato Gian Maria Nicotera – Tali pubblicità turbano il comune sentimento della morale, non rispettando il dolore di chi ha perso o sta perdendo un proprio caro”.
«L’azienda sta portando un cambiamento nell’intero sistema funebre a livello nazionale – replica Luciano Taffo, interpellato dal quotidiano Il Messaggero –Una volta quando la gente vedeva uno di noi o un carro funebre partivano frasi o gesti di scherno.
Eravamo solo “i cassamortari”.
È assurdo essere denunciati per aver usato una frase comune come: «si suda da morire». Serve un pizzico di ironia nella vita, e anche nella morte».