Chi scrive parte da posizione non sospetta di simpatia precostituita verso l’esponente politico. Neanche simpatia, in senso greco, la donna non ha dimestichezza coi classici. Non conosce Hegel, non è mai sprofondata in Kant e di Machiavelli ha solo cognizione tramandata volgarmente.
Giorgia Meloni è una che si impegna. Dall’età di quattordici anni – quando fece una scelta di vita inusitata per la sua generazione – dalla Garbatella – quartiere popolare di orientamento a sinistra – ha iniziato il suo percorso. Passo dopo passo è arrivata all’inimmaginabile.
Chi scrive la conobbe venti anni fa durante l’inaugurazione della federazione di Alleanza Nazionale a Villa Adriana. In verità si apriva una sezione della Destra Protagonista, componente interna di quello che fu il partito di Fini. Tra la confusione c’era la giornalistica necessità di parlare con qualcuno da poter riprendere con virgolettato. L’addetta alle pubbliche relazioni era una ragazza simpatica che poi ho capito essere la sorella della Meloni. Il clima era molto amicale, fino al familiare, al fatto in casa. Mi dice: “parla con Giorgia! È quella ragazza lì”. Stava in disparte. Fuori dal cuore del ricevimento. Era inusitata una ragazza per essere portavoce di un partito di destra. Dopo le presentazioni fu lei a chiedere di me. Da quanto tempo facevo il giornalista. Se ero contento di farlo. Ed anche per lei era una prospettiva.
Non a caso la rincontrai due anni dopo al seminario di Fiuggi dove si formano gli aspiranti professionisti del giornalismo per fare l’esame. Nonostante avesse già fatto il ministro della Gioventù si prestava alle lezioni di attempati tromboni della carta stampata prossima a chiudere i battenti. Lei prendeva appunti su tutto. Accanto a sé una mazzetta di quotidiani che leggeva e sottolineava con grande piglio. Nelle pause le conversazioni su tutto. Ma era sempre lei a parlare. Un filone di contenuti sempre pronto qualsiasi fosse lo stimolo degli argomenti proposti.
Stile stentoreo. Foce ferma, sicura. A volte alzava il tono della voce pur non avendo persone a contraddirla, ma invece ad ascoltarla. In sostanza, come oggi.
Né chi scrive, né chi era lì poteva lontanamente immaginare che quella ragazza piena di grinta un giorno sarebbe diventata presidente del Consiglio. Ma è successo. E questo non perché in questo paese venga data una possibilità a tutti. Neanche perché la meritocrazia sia nel gene degli italiani. Anche nelle attività più pubbliche, come quelle della divulgazione vanno avanti i figli dei divulgatori o personaggi già noti.
Giorgia ce l’ha fatta perché non ne ha sbagliata una. (Prima motivazione). Capito il vento di protesta e profondo malcontento che ha animato il Movimento Cinque Stelle non ha avuto l’urgenza di dividere l’improbabile torta con l’altro partito oltranzista di destra: La Lega. I salviniani invece si sono consumati lentamente per due ordini di motivi prevedibili. Il primo che non si può fare profitto di voti in continuo soffiando sopra il vento della protesta. Il secondo che quando si governa inevitabilmente si fanno scelte spiacevoli, non si contentano tutti, non si possono contentare gli amici e questi allora se ne vanno.
Lei lo aveva capito. Matteo Salvini no. Salvini ha continuato a perdere e la lezione non gli è stata sufficiente. Quando ha chiamato il grande totem dell’Europa con Super Mario Draghi, Salvini è scattato sull’attenti entrando nel governo. Lei con Fratelli d’Italia, no.
Ed è stato un bene per le sorti della destra che sia riuscita a non perdersi grazie all’esistenza del suo partito. Lei ha fatto il pieno di voti. Al confronto cogli altri due partner di coalizione ha incassato il diritto alla presidenza.
C’è un’altra motivazione, secondo noi, che giustifica l’essere insignita a Personaggio dell’Anno. Non è ricattabile. L’esser arrivata a far parte di quel grande tavolo di consultazioni è importante ma non tanto quanto al fatto di non esser suscettibile al silenzio per quel segreto o scheletro nascosto nell’armadio. Questa è la sua forza. E lo disse chiaro e tondo a Lui, in persona. Silvio dovette sorbirsi il suo fiato e i suoi decibel vocali quando incassava l’indisponibilità a seguire il buon consiglio paternalistico di mettersi in linea. Proprio lei! Che era stata inventata da Lui venti anni prima.
Ma la terza ragione per cui Giorgia è personaggio dell’anno, secondo il nostro immodesto parere, consiste nel fatto che inaspettatamente lei ha messo in opera l’Agenda Draghi senza far rimpiangere il grande uomo della Bce. Qui e là qualche sferzata da donna di destra. Qualche frase scomposta per gli ambienti di classe ma apprezzata tra i molti senza alcun titolo perché riconoscono in lei una che ce l’ha fatta, una di noi.
Non dà tracce per rendere riconoscibile i suoi movimenti. Ancora oggi i commentatori non la capiscono. Ritengono che Salvini gli stia nuocendo per il recupero di argomentazioni totalizzanti. Ma non capiscono come tutto questo sia probabilmente concordato col segretario della Lega. Lui si prende le inquietudini della destra, lei deve governare. Quindi incontrare i leader mondiali. Salutarli con le pacche sulla spalla come fossero amici di osteria. Replicare agli esponenti dell’opposizione come se fosse al mercato. Delegare la paternità e il lavoro sporco di una manovra finanziaria asfittica a Giorgetti della Lega. Le fesserie contro il diritto di sciopero a Salvini. E lei viaggiare ai vertici europei, alla Cop28, a parlare con Joe Biden che la apprezza perché ha liquidato su due piedi i cinesi su La Via della Seta.
Tutto questo è Giorgia. Gli altri possono solo cercare di starle dietro cercando di farsi pochi danni.