Prima assolto, poi condannato.
Bernardino Budroni, il 40enne di Fonte Nuova ucciso da un poliziotto con due colpi di pistola sul Gra
Ma non sarà mai accertata la responsabilità del poliziotto che il 30 luglio 2011 durante un inseguimento sul Grande Raccordo Anulare sparò e uccise Bernardino Budroni, detto “Dino”, un 40enne di Fonte Nuova segnalato al 113 dopo una lite con la ex fidanzata.
Ieri, venerdì 22 novembre, la Seconda Sezione della Corte di Appello di Roma ha dichiarato prescritto il reato di omicidio colposo a carico dell’agente della Polizia di Stato Michele P.
Nel processo d’Appello Bis terminato ieri a piazzale Clodio la Procura Generale aveva chiesto l’assoluzione del poliziotto per uso legittimo di armi.
I giudici della II Sezione presieduta da Galileo D’Agostino hanno invece dichiarato di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato, condannando Michele P. al risarcimento del danno e al pagamento di una provvisionale di 40 mila euro a favore di Rosanna Giuliani e Claudia Budroni, rispettivamente madre e sorella di Dino Budroni, costituite parti civile e rappresentate dall’avvocata Sabrina Rondinelli.
“Questa sentenza di oggi non restituisce Budroni alla famiglia ma siamo comunque contenti per il risarcimento del danno, che è comunque un piccolo segnale”, commenta il legale della famiglia.
La morte di Dino Budroni avvenne sul Gra nella notte tra il 30 luglio e il 31 luglio 2011
Il caso Budroni risale alla tarda serata di sabato 30 luglio 2011, quando Dino Budroni si era recato in via Quintilio Varo, a Cinecittà, dove abita una donna di 41 anni che l’uomo aveva frequentato per 5 mesi.
Budroni non accettava la fine della relazione, sfondò il portone del condominio con un “male e peggio”, la guardiola del portiere e danneggiò la porta dell’abitazione della donna che chiese l’intervento della Polizia.
I fori dei due proiettili trapassarono lo sportello posteriore dell’auto di Budroni
All’arrivo della volante, Budroni si sarebbe allontanato senza rispettare l’alt degli agenti e a quel punto iniziò un inseguimento sul Raccordo. All’altezza dell’uscita per la Bretella della Centrale del Latte, l’agente Michele P. esplose due colpi di pistola, uno letale alla schiena sparato quando l’auto di Budroni era praticamente ferma e la vittima disarmata.
Nel processo di primo grado il Tribunale di Roma nel 2013 assolse Michele P. dall’accusa di omicidio colposo con la formula ‘perché il fatto non costituisce reato’: secondo il giudice si trattò di “uso legittimo delle armi” per fermare il fuggitivo.
A luglio 2018, per l’agente arrivò la condanna a 8 mesi dalla Corte di Appello di Roma che riconobbe la colpa e l’eccesso di difesa.
Ma a gennaio 2019 la Corte di Cassazione accolse il ricorso della difesa del poliziotto e annullò la sentenza di secondo grado per vizio di motivazione.
A distanza di cinque anni, il colpo di scena.
Venerdì 19 gennaio 2024 il Procuratore Generale della II Corte penale di Appello di Roma chiese di riascoltare testimoni e periti, riaprendo così un processo bis a carico dell’imputato per omicidio colposo e andando oltre le indicazioni della Cassazione che aveva bocciato la sentenza di secondo grado.
Nel processo d’Appello Bis iniziato il 10 maggio scorso difesa e accusa si sono affrontate con le rispettive tesi.
Secondo i legali di Michele P. e secondo i giudici di primo grado, il poliziotto avrebbe sparato per interrompere una “grave e prolungata resistenza”.
Secondo la Procura e la famiglia di Bernardino Budroni, non c’era alcun bisogno di bloccare l’auto con le armi, perché di fatto si era già fermata, tanto più che il colpo fu sparato ad altezza uomo e non alle gomme.
Ieri, a distanza di oltre 13 anni, la Corte d’Appello ha messo la parola fine al caso: il reato è prescritto.