– Possiamo andare – disse Rosa.
– Perché hai voluto che venissi con te?
– Solo perché volevo che venissi con me.
Generoso sorrise da sciocco e si allontanò dal convento insieme a Rosa, parlando con lei.
Il papà di Rosa aveva frequentato lì la scuola materna, tenuta dalle Suore del Preziosissimo Sangue fino agli anni ’70. Lei seguiva le tracce di suo padre, con tenacia, come un cane cerca la casa. Prima di sparire, ci fu un periodo in cui lui le diceva sempre: “Il mio cuore brilla nel fondo”.
– Sai, Pungitopo, i giornali scrissero che una frase del genere fa pensare al suicidio – aveva spiegato Rosa a Generoso.
Glielo aveva spiegato quando teneva il foglio in mano perché entrambi ne osservassero il contenuto: un disegno della Fonte di Sambuci risalente al XVII secolo, disegno che il papà aveva realizzato da piccolo. Un’opera infantile, riempita di destino: a quella Fonte il padre si dichiarò, anni dopo, alla madre di Rosa.
– È un bel nome “Rosa” – disse Generoso alla ragazza, camminando con lei.
– Grazie. La rosa canina cresce su questi territori, viene da questo il mio nome.
– È bello che il proprio nome parli del luogo in cui si è nati.
– Anche il tuo!
– Vero. Generoso è un nome che trovi volentieri a Tivoli.
– Veramente mi riferivo a “Pungitopo”, che però è sempre una pianta delle mie parti!
– Scema.
Si irritò. Ma non troppo.
– Lo sai perché si chiama Salone delle Prospettive?
– Sì.
– È per la decorazione delle pareti…
– Ma ti ho detto che lo so…
– … che offre una prospettiva illusionistica.
Rosa alzò la voce e si rivolse a tutti:
– Siete in un posto magico. Non vi perdete la magia!
Irene arrivò, sulla “magia”. Come tutte le spose era in ritardo. Lo so, era una sposa finta ma che c’entra? Eccola l’illusione della prospettiva! Lei arrivò, lui pianse. Filippo lasciò che a piangere fossero gli occhi e nient’altro. Non il resto del corpo, per carità, non la voce! Questo avvenne di fuori. Dentro, era fatto delle lacrime che fuoriuscivano. Nessuno lo notò; forse Rosa.
Serena Calabrese © RIPRODUZIONE RISERVATA