Le accuse erano pesantissime: violenza sessuale, sequestro di persona e rapina. Tre reati per i quali la Procura aveva richiesto una condanna esemplare anche perché commessi nei confronti di una ragazza alla quale l’imputato era legato da un rapporto sentimentale.
Invece all’esito del dibattimento quelle accuse si sono sciolte come neve al sole e l’imputato è stato scagionato con formula piena.
Così ieri, mercoledì 3 maggio, il Tribunale di Tivoli ha assolto perché il fatto non sussiste Sopot M. un 33enne albanese pregiudicato per spaccio di sostanze stupefacenti. Il Collegio presieduto da Nicola Di Grazia – a latere i giudici Sergio Umbriano e Matteo Petrolati – ha condiviso la tesi degli avvocati difensori Carlo Taormina e Daniele Conte rigettando la richiesta del pubblico ministero di condanna a nove anni di carcere, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e all’espulsione dallo Stato italiano.
I fatti risalgono al 18 settembre 2020, quando Sopot M. era detenuto agli arresti domiciliari presso la Comunità di recupero per tossicodipendenze “Linea Punto Verde” Onlus di Morlupo, Comune di competenza territoriale della Procura di Tivoli.
Quella sera alle ore 20 Gaia (il nome è di fantasia), una ragazza romana di 34 anni, era andata a far visita a Sopot M., col quale aveva avuto una relazione sentimentale.
Secondo la denuncia presentata dalla giovane, il pregiudicato albanese l’avrebbe costretta a raggiungerlo in comunità dopo insistenti telefonate con la minaccia che avrebbe rivelato alla mamma e alle amiche di lei circostanze riservate.
Stando alla ricostruzione della Procura di Tivoli, Sopot M. si sarebbe infatti impossessato della password del profilo Facebook di Gaia scoprendo fatti privatissimi sconosciuti ai familiari. Agli inquirenti la 34enne raccontò che, una volta giunta nella camera in cui Sopot era detenuto, l’ex chiuse la porta a chiave e la tenne ostaggio per ben 5 ore.
Cinque ore durante le quali il pregiudicato albanese l’avrebbe costretta a subire atti sessuali, dopo averla picchiata a schiaffi, pugni e calci e minacciata con un coltello per farsi consegnare il cellulare iPhone 6, evitando così che potesse chiamare i soccorsi.
Fatto sta che verso l’una di notte la ragazza tornò a casa e nei giorni successivi decise di denunciare l’ex fidanzato. La ricostruzione della Procura non ha convinto il Tribunale che tra 90 giorni pubblicherà le motivazioni della sentenza di assoluzione.
“La denuncia era infondata”, premette l’avvocato Cristiano Conte del Foro di Roma che ha difeso l’imputato insieme al professor Carlo Taormina.
“La ragazza – spiega il legale – si è recata spontaneamente presso la comunità di recupero ed ha avuto un rapporto sessuale consenziente col nostro assistito.
Le chat di WhatsApp e i messaggi mail dimostrano che tra i due giovani esisteva un legame sentimentale permanente.
In particolare una conversazione di luglio 2020 dimostra che Sopot per salvaguardare la ragazza ha tentato di allontanarla proprio per la sua detenzione e il percorso di recupero che stava svolgendo, tra l’altro positivamente”.
“Durante il processo – prosegue l’avvocato Cristiano Conte – sono stati ascoltati come testimoni un vicino di stanza ed una operatrice della comunità.
Il primo ha riferito di non aver avvertito alcun rumore sintomatico di violenza, nonostante i due ambienti fossero separati da un tramezzo.
La seconda ha raccontato di aver bussato alla porta della stanza per sollecitare la ragazza ad uscire dalla comunità e di averla vista serena.
Infine è stato dimostrato al Tribunale che quella stessa notte, una volta tornata a casa, la giovane ha continuato a chattare su WhatsApp col nostro assistito fino al mattino inviandosi reciprocamente messaggi e foto intime”.