“La comunicazione uccide il lavoro”

IL periodico New Yorker mette insieme analisi, testimonianze e dati per rilevare la stanchezza dell’operatore intellettuale

Lavorare stanca. La frase resa scevra da fannullismo dal romanzo di Cesare Pavese è divenuta ancora più attuale con lo smart working. Secondo The New Yorker lo stress da lavoro ha raggiunto livelli classificabili dai dati. Sempre più operatori nel mondo del lavoro che basa sul computer e fa della comunicazione elettronica il sale della propria attività accusano stress da lavoro.

L’effetto tipico sono le riunioni in teleconferenza o le comunicazioni in posta elettronica: costituiscono la maggior parte dello stress da lavoro.

IL dato è indiscutibile, secondo New Yorker: “un forte aumento del tempo che il lavoratore medio della conoscenza dedica alla comunicazione digitale”.

E ancora: “Un recente rapporto di Microsoft ha rilevato che gli utenti del suo software di produttività per l’ufficio ora trascorrono quasi il sessanta per cento del loro tempo utilizzando strumenti di comunicazione digitale – posta elettronica, chat e videoconferenze – e solo il restante quaranta per cento rimane per la creazione. software, come Word, Excel e PowerPoint”.

Sicuramente si tratta di un effetto da pandemia, ammette il servizio pubblicato sul settimanale statunitense. Ma c’è un effetto prolungato che mostra di continuare in termini di disaffezione al lavoro, nausea, stanchezza irrecuperabile. C’è anche una moltiplicazione dei tempi reali di lavoro, però. Le cosiddette riunioni grazie agli smartphone invadono anche il tempo una volta dedicato alla vita personale.

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IL dato che si registra in America, e quindi prossimo ad arrivare anche qui, consiste nelle “Grandi Dimissioni”.

Si tratta di un esodo di massa dal lavoro. Vede al suo apice milioni di americani lasciare il lavoro ogni mese. Poi, nel 2022, abbiamo avuto la guerra del lavoro a distanza, in cui i capi che avevano pensato di lavorare da casa come misura temporanea sono rimasti sorpresi quando i dipendenti lo hanno rivendicato come un diritto.

Anche nell’iconografia si tratta la categoria professionale che dovrebbe essere considerata l’intellighenzia del paese come una classe di divanisti. Forse gli eredi di quei giovani che Achille Serra trattava nel suo saggio: Gli Sdraiati.

Tutto possibile, tutto forse vero. Sta di fatto però che nel nostro paese continua ad esserci una domanda di lavoro forte che continua e persevera. In questo anno alle porte ha conosciuto una forte accentuazione.

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La crescita dell’occupazione, osservata nel confronto trimestrale, si associa all’aumento delle persone in cerca di lavoro (+0,3%, pari a +6mila unità) e alla diminuzione degli inattivi (-0,9%, pari a -116mila unità). Il numero di occupati, a ottobre 2023, supera quello di ottobre 2022 del 2,0% (+458mila unità).

Il numero di occupati, a ottobre 2023, supera quello di ottobre 2022 del 2,0% (+458mila unità). L’aumento coinvolge uomini, donne e tutte le classi d’età, a eccezione dei 35-49enni per effetto della dinamica demografica negativa.

Rispetto a ottobre 2022, cresce il numero di persone in cerca di lavoro (+0,9%, pari a +17mila unità) e cala il numero di inattivi tra i 15 e i 64 anni (-4,2%, pari a -531mila).

Sono dati Istat. Prima che i soloni partano dai dati del New Yorker per dedurre ipotesi buone da salotto, è bene leggano bene i numeri del nostro paese. Dicono ben altro.

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