Le Funambole, storie di donne in equilibrio sul filo della vita

per la prima volta in scena al teatro Ramarini di Monterotondo

di Annamaria Ianitaffi

Il prossimo fine settimana al Teatro Ramarini di Monterotondo si raccontano le donne capaci di camminare con destrezza in equilibrio sulle vicende della vita, quindi si svelano tutte le donne del mondo e il modo in cui si rapportano alla maternità, al lavoro, all’amore. Le Funambole è uno spettacolo teatrale che andrà in scena sabato 9 novembre alle 21.00 e domenica 10 alle 17.00, fatto da donne, pensato non solo per le donne. Ce ne parla la regista, Dania Appolloni, monterotondese doc.

Come è nato il testo de Le Funambole?

Sono un’attrice, alla mia prima esperienza di regia di un testo scritto come autrice, ispirato a storie personali e a vicende di amiche e conoscenti. All’inizio volevo realizzare un blog, poi ho intravisto in questi testi un teatro di parola, perché nello spettacolo non c’è una azione vera e propria, ma il filo di un racconto per dialoghi di personaggi che non si incontrano mai fisicamente in scena. Proprio come me, Nina, la protagonista, non sa come si fa la madre e soprattutto non sa come spiegare a sua figlia Mia come essere donna: è un compito complicato! Allora Nina le presenta, attraverso le storie delle donne che conosce, la difficoltà e la bellezza dell’essere donne. Per me questo testo è stato una sorta di “parto spontaneo”.

Un “parto spontaneo”?

La mia mente ha partorito i personaggi, il bianco e nero che pervade la scena e i costumi, come il letto che presenzia il palco, che per me è un simbolo della femminilità, dell’accoglienza, dell’accudimento: sul letto si partorisce, nel letto si ama, ma si studia anche, sul mio letto ho preparato praticamente tutti gli esami universitari di Discipline dello Spettacolo.

Cosa “partorisce”Nina, la protagonista, alla fine la narrazione?

Parlando Nina si “ricostruisce”: all’inizio si sente brutta, grassa, inadeguata, incapace di affrontare gli ostacoli che minano la strada delle donne sul posto di lavoro, ma alla fine conquista la sua grinta e si rende conto, attraverso la figlia cresciuta, che è stata in grado di fare bene la madre. Realizza che la fragilità è la nostra forza e la nostra bellezza, perché ci fa stare al mondo “funambolando”, mentre ci sentiamo spesso inadeguate e in preda ai sensi di colpa. Arriva alla conclusione che esiste la possibilità di stare bene senza sentirsi “mancanti” di qualcosa.

Storicamente, come sono le donne ce lo dicono gli uomini, poiché la narrazione nei testi è prevalentemente maschile, e con questa anche il suo punto di vista.Ci sono testi che l’hanno influenzata?

Sicuramente le donne sono state raccontate prevalentemente dagli uomini, mi vengono in mente come esempi dei classici studiati all’università come Lisistrata e Mirandolina, che però è stata la prima femminista nella storia del teatro, nel ‘700, quando le donne erano “fabbricate” per diventare spose. Lei invece è libera e indipendente, il che mi fa pensare che Goldoni fosse molto più femminista di me (ride, ndr). E poi nel testo ci sono rimandi ad autrici come Lella Costa o Franca Rame, che sicuramente hanno influito sulla mia formazione.Un testo teatrale che secondo me le donne le racconta bene è Sono Valentina e Credo nell’Amore, interpretato in TV da Paola Cortellesi, che narra di una donna che continua ad essere capace di amare nonostante le botte. Poi per fortuna si accorge che amare in quel modo non è amore, ma malattia. Noi amiamo nonostante i nonostante, i tradimenti subiti, le imperfezioni, perché noi donne siamo capaci del perdono anche quando ci fanno un torto: cerchiamo di capire il perché o dove abbiamo sbagliato e questa secondo me è una forma di bellezza che appartiene solo a noi. Poi sicuramente mi hanno influenzato alcune narratrici che apprezzo molto come Dacia Maraini che in Tre Donne parla di tre generazioni femminili come affreschi meravigliosi.

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E gli uomini come vengono raccontati nella sua pièce?

Non parlo degli uomini, generalmente. Perché? Perché non li conosco;ne Le Funambole infatti il maschio è padre e marito, ma sempre nell’assenza. Posso scrivere solo ciò che conosco, ecco perché per parlare della violenza sulle donne nel racconto di Lella (una delle funambole protagoniste in scena, ndr) ho preferito rifarmi al testo del musicista Edoardo De Angelis che, nella sua popolare canzone romana, descrive un efferato femminicidio, solo che io lo racconto dal punto di vista delle amiche di Lella.

Quanto c’è di autobiografico nei racconti delle donne che si alternano in scena ne Le Funambole?

C’è un po’ della mia storia personale e dei racconti delle amiche. Il monologo di Orsola deriva dalle mie esperienze con capi autoritari, così come in Cettina, che è la funambola del sud, ci sono le mie radici, perché mia madre è di Potenza. Ci sono le donne della mia vita: mamma, zia, nonna; e anche i miei uomini: il papà di mia figlia, il mio compagno Domenico Rizzo che si è occupato anche dell’organizzazione, mio nonno, mio padre.

E suo padre come l’ha influenzata nella scrittura di questo testo?

È strano e bello che lei me lo chieda, perché anche mio padre, Alberto Appolloni, c’entra molto. Lo spettacolo è stato scritto tra il 2012 e il 2013 e poi messo in un cassetto, forse per poca autostima come scrittrice. Dopo la sua morte improvvisa, ho aperto quel cassetto, perché lui per me era un cavaliere, mi ha sorretta e incoraggiata sempre, e purtroppo non ha avuto il tempo di leggerlo. Allora mi sono detta che dovevo rappresentare il testo perché almeno mia madre lo vedesse,infatti lo spettacolo è dedicato a lei e a tutte le donne della sua generazione e della nostra, che magari si sono sentite in colpa per aver lavorato, come dice Nina nel monologo di chiusura.

Ci dica di più sulla sua famiglia e sul suo ruolo nella storia di Monterotondo.

Mia madre, Rosanna Mauro, che per lo spettacolo ha realizzato i costumi, ha sempre gestito un albergo insieme a mio nonno Canio e a mia nonna Nina, prima a Potenza, poi qui a Monterotondo; si chiamava Albergo Ristorante il Matriciano, ed è stato lasciato dalla famiglia nel 1979, una volta ristrutturato è diventato l’attuale hotel Brigante, in via Matteotti. E poi c’era nonna Nina, da cui ho preso il nome della protagonista del testo, al secolo Giovanna De Angelis, che era figlia di Mastrangelo, un personaggio storico di Monterotondo, su cui sono nati mille racconti, perché era un sovversivo, molto legato al PCI, che è stato imprigionato a lungo durante il Fascismo. I miei genitori, quando ero adolescente, hanno gestito a lungo la tabaccheria di San Rocco, proprio davanti al teatro Ramarini, quindi io il teatro Ramarini ce l’ho sempre avuto davanti, anche nel periodo in cui è stato un cinema. Ecco perché per me recitare questo testo al Ramarini è un’emozione grande. Lo scorso anno abbiamo rappresentato lo spettacolo al Teatro Molloy a Monterotondo Scalo.

Ne Le Funambole molto spazio è dedicato anche alla musica e alla danza.

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Sì, perché ho usato una regia lineare, molto semplice, e le donne che vi sono rappresentate sono scalze, sono bambole ferme, rappresentate nel loro stare, quindi la danza e la musica gli fanno da tappeto. Le musiciste sono Giorgia Marini, una ventitreenne neolaureata dalla voce graffiante, cui fa da contr’altare Anna Boccolini, dalla voce dolce e potente, che interpretano tra gli altri brani anche Combattente di Fiorella Mannoia. Le ballerine sono Silvia Di Renzo, un’atleta e un’insegnante di yoga dal corpo muscoloso e quasi androgino, molto apprezzata a Monterotondo, che si affianca alla fisicità esile di Elena Latorre, una coreografa torinese trapiantata qui e di sua figlia, Nicole Scarpinati di soli 11 anni, ballerina e mia allieva di teatro.

Sembrano tutte donne molto impegnate nella loro vita quotidiana…

Le donne del mio spettacolo fanno tanto, dentro e fuori le scene, non sono le donne angelicate di Dante Alighieri, non sono le donne della Vita Nova, sono vere, spigolose o cicciottelle, e magari indossano mutande bucate perché non hanno avuto il tempo di comprarne di nuove. Giada Felici, ad esempio, che è anche mia cugina, è una delle attrici protagoniste dello spettacolo ed è stata la prima a leggere il copione; nella vita è una commerciante che gestisce il negozio di lingerie La Giarrettiera, in via Mameli, insieme alla sorella Solidea. Sandy Giuffrida, quando non calca le scene, fa la truccatrice, è siciliana ma si è spostata prima a Milano e poi è approdata a Monterotondo. Per sfatare un luogo comune, voglio dire che tra tutte queste donne non esiste competizione, che a mio parere non è una caratteristica di genere, ma è rimessa alle singole persone. Tutte loro si sono sentite libere di suggerire miglioramenti al copione, e io le ho ascoltate tutte, come si faceva nei collettivi di lavoro degli anni Settanta. Poi mi hanno anche raccontato la loro vita, tanto che ad un certo punto hanno avuto quasi paura di raccontarsi, per timore che potessi svelare nel testo le loro storie personali, si scherza ovviamente… E infine c’è mia figlia Mariasole Sciarra, che interpreta Mia, e che ha insistito per frequentare il mio corso di teatro, nonostante la spingessi a seguire altre scuole: lavorare con lei sul palco è bellissimo.

Come si finanzia lo spettacolo?

È totalmente autoprodotto, attraverso la Fabbrica dei Ricordi Felici, un’associazione gestita da me e dal mio compagno. Abbiamo re-investito i proventi per migliorare il prodotto nell’ultimo anno e non abbiamo mai cercato sponsor, più che altro per manifesta incapacità di chiedere fondi, ma se qualcuno ci volesse sponsorizzare, ne saremmo ben felici.

Ha altri progetti in corso?

Sto lavorando a un’altra idea tutta al femminile, ma comica, stavolta, che confronterà due tipologie di donne, le chic e le trasandate.

Qual è stato il feedback dei monterotondesi a Le Funambole?

C’è stato un riscontro enorme, persino delle ovazioni, da parte di molte donne e di qualche uomo. Altri invece si sono risentiti per come si sono sentiti trattati, anche se io non ce l’ho con gli uomini, anzi li adoro. Non sono come Marina, una delle mie funambole, che dice “non bisogna generalizzare ma generalizzerò”, non generalizzo perchè nella mia vita ho conosciuto molti uomini in gamba, come gli uomini della mia famiglia, mio nonno, mio padre, mio zio Mauro Felici, a sua volta autore, che hanno dato vita a noi che siamo donne non da meno, siamo figlie forti.

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