Vicovaro – Atti vandalici contro la stele in memoria del partigiano Riccardo Di Giuseppe

Ignoti hanno rimosso la targa commemorativa sfregiando in questa maniera un pezzo di storia del paese.
Il sindaco Fiorenzo De Simone ha espresso a nome dell’amministrazione comunale solidarietà alla famiglia promettendo di far ripristinare quanto prima la targa divelta.

Dure parole di condanna da parte dell’Anpi di Vicovaro, il cuo circolo locale è intitolato proprio a Di Giuseppe: “I fascisti alzano il tiro – si legge nella pagina Facebook dell’associazione – tolta la targa alla stele dedicata al partigiano Riccardo Di Giuseppe. Vandalismo politico, ecco di che si tratta! Scardinano le targhe dei defunti che gli hanno garantito l’Italia dove vivono!!”.

La storia di Riccardo di Giuseppe
(dal sito ufficiale del Comune di Vicovaro)

Il 7 novembre 1943, a Vicovaro, furono catturati una decina di antifascisti accusati di aver distribuito della stampa clandestina e di aver duramente criticato la Repubblica Sociale Italiana. Atrocemente torturati e seviziati, prima dentro il Palazzo Cenci-Bolognetti, furono poi trasferiti a Roma nel carcere di Regina Coeli, dove rimasero per diverso tempo in attesa di giudizio.
Tra questi c’era Riccardo Di Giuseppe il cui caso merita un’attenzione particolare. Di idee libere, aperte, non sopportava soprusi di sorta e restrizioni della sua libertà, desiderava fin da bambino di essere un garibaldino. Dopo l’avvento del fascismo, ed in seguito ad intrighi e beghe locali, perdette il posto di lavoro.
Per riottenerlo lo obbligarono a far atto di sottomissione al regime fascista, ma egli si rifiutò. Per questo fu considerato un “sovversivo” e perseguitato a tal punto da essere costretto a fuggire in Francia, dove si unì alla folta schiera di antifascisti che avevano già oltrepassato la frontiera.
Alla caduta del fascismo tornò a Vicovaro, dove trascorse serenamente i rimanenti giorni prima dell’8 settembre. Subito dopo, però, ricominciò il suo lungo calvario, che lo costrinse a vivere nascosto fino al giorno della cattura: la sua sorte era oramai segnata.
Dopo il trasferimento al Carcere di Regina Coeli, fu portato ripetute volte nelle sale di tortura di Via Tasso, dove venne ridotto ad una larva d’uomo.
Volevano che parlasse. Che rivelasse i nomi dei suoi complici che complottavano contro il regime di Salò e del Nazismo.
Ma egli non aveva nulla da rivelare perché non aveva complici. Fu processato dalla Corte Militare tedesca e accusato di cospirazione contro il nazifascismo e attività partigiana. Condannato a morte per fucilazione, morì a Forte Bravetta il 22 novembre del 1943.

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