Lo stratosferico successo di Squid Game

La serie sudcoreana di Netflix thriller distopica/drammatica/commedia e solo con sottotitoli

Viene da 10 anni di rifiuti, per una sceneggiatura giudicata troppo inverosimile, il successo globale di Squid Game, la serie sudcoreana thriller distopica/drammatica/commedia nera/satira sociale in nove episodi di Netflix, che ha conquistato grazie al passaparola il pubblico della piattaforma. Uscita tre settimane fa, è arrivata al primo posto in 90 Paesi, dagli Usa a gli Emirati Arabi, dal Brasile alla Lituania, Italia compresa (nonostante non ci sia il doppiaggio in italiano, ma sia possibile vederla solo sottotitolata).

Numeri che – riporta l’Ansa in questo servizio – secondo il co- amministratore delegato di Netflix Ted Sarandos, stanno per portarla a diventare la serie non in lingua in inglese più vista di sempre sulla piattaforma e potrebbero anche renderla la più vista e popolare in assoluto, superando Bridgerton.

A firmare Squid Game come sceneggiatore e regista è Hwang Dong-hyuk, secondo il quale il tanto atteso sì al progetto è arrivato perché il mondo è diventato “un posto dove storie di sopravvivenza uniche e violente sono benvenute per i legami con la realtà che viviamo” ha spiegato al Koren Times. Il regista e sceneggiatore ha voluto riflettere nel racconto “la società competitiva di oggi – ha aggiunto con la Cnn -. Questa è una storia di perdenti che si barcamenano nelle battaglie quotidiane e vengono lasciati ai margini mentre i ‘vincenti’ continuano la loro scalata”. Un concetto reso nella serie con una visione onirica, grottesca e violenta, ricca di citazioni, da Agatha Christie a Eyes Wide Shut di Kubrick, passando per Hunger Games e Battle Royale, con una spruzzata di lotta di classe. Si racconta la battaglia per la vita di 456 ‘concorrenti’ che accettano partecipare a una misteriosa serie di giochi per un ricco montepremi. Uomini e donne, di tutte le età, devastati dai debiti o da altri traumi, con carriere distrutte, violenze subite, crimini commessi o sogni di una nuova vita, portati su un’isola per ‘battersi’, tutti vestiti con la stessa tuta verde, in versioni riviste e corrette di giochi infantili, come Un due, tre stella il tiro alla fune o ‘il gioco del calamaro’ che dà il titolo alla serie. Non si aspettano però che i perdenti nelle diverse manche vengano giustiziati e che ogni morto arricchisca il jackpot per il vincitore fino a 45.6 miliardi di won (circa 33 milioni di euro). Il tutto sotto il controllo di un frontman e le sue guardie / carnefici, armate di mitra, mascherate e incappucciate in divise rosse (non si può non pensare a La casa di carta). Tra i personaggi che lottano per la vita e i soldi, ci sono Seong Gi-hun (Lee Jung-jae) ludopata squattrinato quarantenne mantenuto dalla mamma e compatito dalla figlia di 10 anni; Cho Sang-woo (Park Hae-soo), operatore finanziario ricercato per aver derubato i suoi clienti; la giovane profuga dalla Corea del nord Kang Sae-byeok (la modella al debutto da attrice Jung Ho-yeon) che ha bisogno di denaro per riunire la sua famiglia; il generoso e forte immigrato pachistano Abdul Ali (Anupam Tripathi) e l’anziano e malato Oh Il-nam (O Yeong-su). Un racconto che tra colori pastello e svolte dark ha conquistato subito anche il pubblico dei social (dai video delle repliche dei giochi su Tiktok alle fanfiction), creando anche qualche inconveniente reale, come la sfortunata donna coreana, che avendo nella vita uno dei numeri telefonici centrali nella serie, si è ritrovata oggetto di centinaia di chiamate e scherzi telefonici. Un problema che Netflix avrebbe intenzione di risolvere cambiando il numero nelle varie scene dove compare, dopo aver chiesto ai fans di non disturbare più la signora. Intanto Hwang Dong-hyuk pensa, con calma, se realizzare una seconda stagione, dopo l’ansia nelle riprese della prima, in piena pandemia: “Per lo stress ho perso anche sei denti – ha raccontato – ma le persone sono entusiaste della serie, sto valutando l’idea”.

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