I confini di tempo nell’esistenza umana corrispondono effettivamente ai confini biologici. Chiunque deve riscontrare tempi e modalità di recupero quando si danneggia una parte dell’organismo. Tutti condividono il fatto che i tempi di recupero di un ventenne, non sono quelli di un sessantenne e la situazione si aggrava a settanta o ottanta anni di vita. L’attenzione di una ricerca pubblicata su Nature Communication guarda, quindi, alle capacità di ripresa delle persone e ad ottimizzare i tempi di recupero.
Con questo sistema l’umanità ha praticamente raddoppiato l’aspettativa di vita. Oggi si parla di un limite potenziale verso i 120 anni. Ma perché porre limiti alla Provvidenza? O meglio perché limitare i risultati della ricerca scientifica? La ricerca di Nature Communication parte dall’analisi attenta del sangue. Si cercano gli indicatori decisivi. Uno sicuramente consiste nell’insulina. Attraverso questi parametro si riesce a quantizzare la capacità di recupero. Su questo solco sono arrivate importanti deduzioni che hanno fatto luce sul cosiddetto invecchiamento genetico.
Il punto di osservazione fondamentale dei ricercatori guarda ovviamente i telomeri. I telomeri sono particelle che si trovano all’estremità dei cromosomi. Si riproducono con più difficoltà quando l’età inizia ad essere tarda. L’evoluzione vuole che si riducano ogni volta che la cellula si divide. Sono per queste considerate, oggi, la cartina al tornasole dell’invecchiamento.
Le cure che si debbono fare per la longevità stanno quindi nella conduzione di una vita sana (fare sport moderato e costante, alimentazione misurata, ambiente di vita) ma anche avere attenzione nel migliorare le nostre capacità di ripresa. Anche facendosi aiutare da specifici farmaci presi in forma preventiva e dopo indicazioni mediche di esperti.
