Le lettere del brigante

Nel 1864, il temuto bandito viene arrestato a Tivoli dalla gendarmeria pontificia

L’Italia è terra di poeti, santi, navigatori e briganti. Giuseppe Luce è uno dei banditi più attivi e temuti del XIX secolo e con suo fratello, anche lui brigante, facevano parte di una famiglia numerosa con una prevalenza di donne. Luce proviene da una famiglia agiata, possedevano terreni che coltivavano con profitto, greggi di pecore e probabilmente anche mucche. Dopo l’unità d’Italia, i Borboni prontamente lo richiamano alle armi dato che aveva già prestato servizio militare. Giuseppe Luce, non esita neppure un momento fedele al re di Napoli non ha nessuna intenzione di riconoscere il nuovo stato. Le temute scorribandate del bandito si interrompono, però, quando viene catturato processato e condannato. Il 27 ottobre 1864 viene arrestato a Tivoli dalla gendarmeria pontificia. Dalla sua prigione, nell’isola del Giglio, scrive lettere bellissime alla famiglia ridotta ormai in povertà. La leggenda narra che durante un violento scontro a fuoco con i piemontesi Giuseppe Luce resta ferito gravemente e un giovane medico riesce a salvargli la vita. Per ricompensarlo gli scagnozzi del brigante portano il dottore in una grande grotta colma di oggetti d’oro invitandolo a prendere ciò che desidera. Da quel momento in tanti cercano di scoprire la favolosa grotta del tesoro, ma nessuna ricerca porta ad un positivo esito.

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FGI

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