GUIDONIA – ‘Ndrangheta, così l’imprenditore e l’operaio sono finiti nella rete dell’Antimafia

Il 51enne titolare di una ditta di scavi sarebbe organico alla cosca insieme ad un suo dipendente di 39 anni. Le intercettazioni che inguaiano i due calabresi

Secondo gli inquirenti sono entrambi formalmente organici alla ‘Ndrangheta, due calabresi pronti a fornire un costante contributo per l’operatività dell’associazione.

E’ il profilo di G. T. e S. S., l’imprenditore di Guidonia e il suo dipendente arrestati all’alba dell’altro ieri, martedì 10 maggio, da parte della Direzione distrettuale antimafia di Roma e della Dia nella maxi operazione “Propaggine”, che ha condotto 38 persone in carcere e 5 ai domiciliari, accusate a vario titolo di associazione mafiosa, cessione e detenzione di droga, estorsione e fittizia intestazione di beni.

Le intercettazioni telefoniche e ambientali registrate tra il 2016, 2017 e il 2018 inguaiano sia G. T., 51enne residente a Guidonia, che S. S., 39enne domiciliato nel quartiere Alessandrino di Roma. Non a caso per entrambi il Giudice per le indagini preliminari Gaspare Sturzo ha disposto la misura cautelare della detenzione in carcere.

Dall’ordinanza di arresto emerge la convinzione della Dia che l’imprenditore, titolare di una ditta di scavi, possa addirittura vantare una dote della cosiddetta Società Maggiore, la Santa, una sorta di investitura arrivata direttamente dalla Calabria.

IMPRENDITORE E OPERAIO INGUAIATI DALLE DICHIARAZIONI DEL BOSS INTERCETTATO

Sulla base delle intercettazioni gli inquirenti hanno infatti dedotto che G. T. risponda alle direttive impartite da Antonio Carzo, il 62enne detto “Ntoni Scarpacotta” considerato il capo della ‘Ndrina romana insieme al 58enne Vincenzo Alvaro, detto “Vincenzo Beccauso”.

A parere dell’Antimafia una formidabile valenza etero-accusatoria nei confronti del 51enne avrebbero varie conversazioni del boss Antonio Carzo. Ad esempio, quella del 3 giugno 2018, quando Carzo parlando di G. T., presente la sera precedente al matrimonio del nipote “Ntoni Scarpacotta”, dice: “è bravo…se la porta pulita (si comporta bene)…un bravo…un bel cristiano…un bravo cristiano per davvero…”.

IL “COMPARE”, LE “MANGIATE DI CAPRA” E IL RECUPERO CREDITI PER “NTONI SCARPACOTTA”

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L’episodio più compromettente per il 51enne è quello relativo alla riscossione di un credito per conto di un medico chirurgo calabrese molto stimato nella Capitale e amico del boss.

L’11 febbraio 2018 la Dia intercetta un dialogo in casa di Carzo. “a Guidonia chi abbiamo come amico?”, chiede il medico al boss facendo riferimento al debitore residente nella città dell’Aria.

E Carzo non ci pensa due volte, indicando il “compare” G. T.: “lui si mette a disposizione… è in gamba…calabrese…ed è per me..”.

G. T. avrebbe anche partecipato alle riunioni del clan, in gergo ndranghetista definite “mangiate”, come quella organizzata verso le 12,30 del 15 ottobre 2017 in un appartamento nella zona di Castelverde nella disponibilità di un affiliato.

Giornata in cui il cellulare dell’imprenditore prima agganciava la cella di via Lunghezzina angolo via Polense, poi dalle ore 13 risultava spento per essere riacceso soltanto alle 15,18 quando il 51enne rientrava a Guidonia Montecelio.

Secondo gli inquirenti della Dia l’imprenditore avrebbe adottato una precauzione per non essere tracciato o intercettato dovendo trattare argomenti particolarmente delicati. A conferma di tale ipotesi, anche l’impossibilità di trovare la traccia telefonica a quel giorno ed in quell’orario del cellulare del suo dipendente S. S.

A inguaiare G. T. è anche un’altra conversazione captata il 27 gennaio 2018 all’interno di un’abitazione fra Antonio Carzo e altri due affiliati. Una delle tante dichiarazioni del boss che – secondo l’Antimafia – avrebbero una formidabile valenza etero-accusatoria nei confronti dell’imprenditore guidoniano. I tre, infatti, parlavano di una “mangiata” prevista per quei giorni, ma rinviata per il decesso di un congiunto dell’imprenditore guidoniano, identificato dagli inquirenti come “quello della cava”.

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Un’altra conversazione captata il 12 agosto 2017 inguaia l’imprenditore. Si tratta di un dialogo in cui sempre il boss Antonio Carzo parla ad un affiliato di due debiti da riscuotere, uno da 250 mila euro e l’altro da 40 mila euro: “uno è calabrese, uno è romano…questo dei 40 è romano … quello dei 250 è calabrese…”, dice Carzo senza fare il nome dei debitori.

Nella medesima conversazione Carzo minaccia gravi ritorsioni nei confronti del debitore calabrese: “se è necessario dato che io… di giorno gli sparo così… non mi nascondo… Ma lo sanno che…lo sanno che li trovo…faccio male alla loro famiglia…e pure la moglie”.

Quindi dichiara: “…lo metto in macchina, me lo porto da una parte a Guidonia…dove c’è la cava…si preme qui…manda a qualcuno sennò te la taglio di netto a netto…che quello compare quando si vede…io credo che poi ci pensa…”.

Dalla frase la Dia ipotizza che il boss faccia riferimento alla cava di G. T., ritenuto dal boss il luogo ideale per consumare un omicidio con la metodologia della “lupara bianca”.

L’INCONTRO COL BOSS VINCENZO ALVARO DETTO “BECCAUSO” NEL LOCALE SEQUESTRATO

Dall’ordinanza del Giudice Sturzo emerge anche una sospetta vicinanza del 51enne imprenditore al gruppo di Vincenzo Alvaro. A tal proposito viene citato un incontro tra G. T., il suo dipendente S. S., il boss della Locale di ‘Ndrangheta e un quarto affiliato avvenuto il 30 dicembre 2016 da “Zio Melo”, un Punto vendita di prodotti tipici calabresi sulla Prenestina a Tor Sapienza posto sotto sequestro l’altro ieri mattina.

Ipotesi tutte da dimostrare, ma che al momento hanno condotto l’imprenditore e il suo dipendente in carcere.

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