FONTE NUOVA – Sparò e uccise Dino Budroni sul Gra, Appello Bis per il poliziotto

Processo da rifare: due colpi all’auto ferma col conducente disarmato

In primo grado era stato assolto, in secondo grado era stato ritenuto colpevole e condannato a una pena di 8 mesi.

Ma la Cassazione aveva annullato la sentenza per vizio nelle motivazioni.

A distanza di cinque anni c’è stato il colpo di scena nel processo a carico di Michele P., il poliziotto che il 30 luglio 2011 durante un inseguimento sul Grande Raccordo Anulare sparò e uccise Bernardino Budroni, detto “Dino”, un 40enne di Fonte Nuova segnalato al 113 dopo una lite con l’ex fidanzata.

Venerdì 19 gennaio il Procuratore Generale della II Corte penale di Appello di Roma ha chiesto di riascoltati testimoni e periti, riaprendo così un processo bis a carico dell’imputato per omicidio colposo e andando oltre le indicazioni della Cassazione che aveva bocciato la sentenza di secondo grado.

L’udienza è stata fissata per il prossimo 10 maggio.

La decisione del Procuratore Generale ha di fatto riacceso le speranze per la famiglia di Bernardino Budroni, parte civile rappresentata dall’avvocato Sabrina Rondinelli.

“Eravamo preparati alla conferma della condanna a 8 mesi oppure all’assoluzione – ha commentato Claudia Budroni, la sorella della vittimaNon ci aspettavamo un simile colpo di scena, ora crediamo di più nella Giustizia.

La verità è nelle carte, ma finora qualcuno ha finto di non vedere.

Non c’era necessità di sparare a Dino, è tutto nelle carte”.

Secondo la ricostruzione degli inquirenti, nella tarda serata di sabato 30 luglio 2011 Dino Budroni si era recato in via Quintilio Varo, a Cinecittà, dove abita una donna di 41 anni che l’uomo aveva frequentato per 5 mesi.

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Budroni non accettava la fine della relazione, sfondò il portone del condominio con un “male e peggio”, la guardiola del portiere e danneggiò la porta dell’abitazione della donna che chiese l’intervento della Polizia.

All’arrivo della volante, Budroni si sarebbe allontanato senza rispettare l’alt degli agenti e a quel punto iniziò un inseguimento sul Raccordo.

All’altezza dell’uscita per la Bretella della Centrale del Latte, l’agente Michele P. esplose due colpi di pistola, uno letale alla schiena sparato quando l’auto di Budroni era praticamente ferma e la vittima disarmata.

Nel processo di primo grado il Tribunale di Roma nel 2013 assolse Michele P. dall’accusa di omicidio colposo con la formula ‘perché il fatto non costituisce reato’: secondo il giudice si trattò di “uso legittimo delle armi” per fermare il fuggitivo.

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A luglio 2018, per l’agente arrivò la condanna a 8 mesi dalla Corte di Appello che riconobbe la colpa e l’eccesso di difesa.

Ma a gennaio 2019 la Corte di Cassazione accolse il ricorso della difesa del poliziotto e annullò la sentenza di secondo grado per vizio di motivazione.

Nel nuovo processo che si aprirà il prossimo 10 maggio difesa e accusa si affronteranno con le rispettive tesi.

Secondo i legali di Michele P. e secondo i giudici primo grado, il poliziotto avrebbe sparato per interrompere una “grave e prolungata resistenza”.

Secondo la Procura e la famiglia di Bernardino Budroni, non c’era alcun bisogno di bloccare l’auto con le armi, perché di fatto si era già fermata, tanto più che il colpo fu sparato ad altezza uomo e non alle gomme.

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