Operazione Babylonia: la Cassazione annulla la condanna di Scanzani

La decisione “con rinvio” per l’ex re delle videolottery. Iniziato anche il processo d’appello per i locali e le case sequestrate. Stoppato il passaggio ai nuovi acquirenti dopo le denunce e le proteste

La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di condanna in secondo grado per Andrea Scanzani. Mercoledì 6 ottobre i giudici della Suprema Corte hanno cancellato, dopo le altre sentenze di assoluzione intervenute in primo e secondo grado, il capo di imputazione relativo al contestato finanziamento illecito all’interno del cantiere ”Pichini”.
Il giorno dopo, giovedì 7 ottobre, è iniziato invece il processo di Appello sulla Confisca dei beni che erano stati posti sotto sequestro dopo la maxi operazione del giungo 2017.
Tra questi, le ormai celebri case dei “Pichini”, oltre a locali molto noti come il Bar Vittoria di Monterotondo.
I due processi, va detto, viaggiano su binari ben distinti tra loro e non è detto che la “buona notizia” sul fronte del processo di merito significhi una imminente restituzione dei beni, anche se la pronuncia assolutoria produrrebbe il venir meno del presupposto della confisca.
Su questo fronte, come raccontato da Tiburno nei mesi scorsi, si era alzato un “polverone” quando i bar sequestrati stavano passando a nuovi proprietari prima della sentenza definitiva. Per tali fatti sono state presentate delle denuncie.

 

I PRIMI DUE GRADI DI GIUDIZIO

In primo grado Gaetano Vitagliano era stato condannato a 11 anni e mezzo, mentre Andrea Scanzani a 5 anni e 10 mesi.
Tuttavia, l’ipotesi accusatoria veniva fortemente ridimensionata dal Tribunale.
Infatti, veniva dichiarato che “Nino” non aveva finanziato il cantiere “I Pichini” e che tra esso e Scanzani non era sorta alcuna società di fatto. Secondo il Tribunale “Nino” avrebbe acquistato una parte di immobile del cantiere “I Pichini”, ma non lo avrebbe finanziato anche perché all’epoca in cui l’asserita immissione di denaro si sarebbe realizzata il cantiere era già ultimato.
Il Tribunale, riteneva che “Nino” avesse corrisposto a Scanzani, non più 6.500.000, ma 2.000.000 di euro che a sua volta costituivano il corrispettivo di 20 appartamenti statuendo a carico di Scanzani la confisca per il medesimo importo.
Considerato il venir meno dell’ipotesi accusatoria legata alla società di fatto” presente tra i presunti sodali assolveva Andrea Scanzani da alcune ipotesi contestate di riciclaggio.
La Corte di Appello di Roma a dicembre dello scorso anno ha rovesciato totalmente la sentenza di primo grado.
Innanzitutto è stata considerata inesistente l’ipotesi contestata di associazione a delinquere. In questo caso tutti gli imputati sono stati assolti con la formula piena, perché “il fatto non sussiste”.
Il prezzo asseritamente corrisposto da “Nino” per l’acquisto degli immobili si riduceva da euro 2.000.000 a 500.000 euro con relativa riduzione a tale importo della confisca, mentre gli immobili “acquistati” passavano da 20 a 4 appartamenti.
Scanzani è stato assolto con formula piena “per non aver commesso il fatto” dall’ultima ipotesi di riciclaggio che lo vedeva coinvolto con personaggi asseritamente riconducibile al clan “Amato Pagano”.
Anche Gaetano Vitagliano, veniva assolto dalle accuse di false fatturazioni, ed era ritornato in libertà da mesi, per scadenza dei termini.
La sentenza di appello ha condannato Vitagliano a 7 anni e mezzo, mentre la pena per Andrea Scanzani, veniva ridotta a 4 anni per il solo capo di imputazione superstite e cioè l’asserita vendita di 4 appartamenti.
La sentenza ha riguardato, tra gli altri, anche Carmine e Raffaele Vitagliano, rispettivamente figlio e fratello del presunto capo, (prosciolti dall’accusa di riciclaggio e riconosciuti colpevoli solo di intestazioni fittizie), condannati rispettivamente a 2 anni e 2 mesi e a 2 anni 9 mesi rispetto ai 4 anni e 5 mesi e a 4 e 8 iniziali.
Lieve invece la riduzione per Giampiero Mei, un cinquantenne ristoratore a Roma e residente a Mentana, che si sarebbe occupato, su altri fronti, della movimentazione del denaro di Vitagliano, ora condannato a 6 anni e 4 mesi (rispetto ai 6 anni 10 mesi iniziali).
La Suprema Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di condanna nei confronti di Andrea Scanzani per l’unico reato superstite e cioe’ l’asserita vendita a “Nino” dei 4 appartamenti.

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L’ACCUSA DI RICICLAGGIO

Dunque per Scanzani, decadute altre ipotesi di reato, era rimasta in piedi l’accusa di riciclaggio per la vendita dei 4 appartamenti.
L’impianto accusatorio originario, dal quale erano conseguite le misure restrittive in carcere, era fondato sull’idea che Vitagliano avesse immesso somme nel cantiere di Pichini per “aiutare” l’imprenditore Scanzani, di Fonte Nuova nella realizzazione delle case.
La banca aveva deliberato la concessione di un mutuo pari a 14,5 milioni di euro per Scanzani e di questi 8 erano destinati per la costruzione degli appartamenti, mentre i restanti 6,5 per quota mutuo accollo clienti.
In sostanza tale ultima quota costituiva un “plafond” da mettere a disposizione dei futuri acquirenti e non del costruttore che invece aveva ricevuto soltanto quanto necessario per la costruzione degli immobili.
Per tale motivo Andrea Scanzani riceve regolarmente dalla Banca mutuataria quanto necessario per la costruzione degli immobili e cioè 8.000.000 così come previsti nel contratto di mutuo.
Tuttavia, per modalità operative e contrattuali tra la banca mutuataria e il costruttore Scanzani essendovi una delibera di mutuo in favore di quest’ultimo, era questi che doveva “consolidare e definire” l’effettiva quota di mutuo erogata attraverso un atto notarile intitolato “rinuncia e consolidamento di ipoteca”.
Viceversa per la pubblica accusa, nonostante fosse oltremodo chiaro il contenuto dell’atto ha ritenuto che: per costruire il cantiere fossero necessari 14.500.000 (il contratto di mutuo invece prevedeva quale costo per la costruzione euro 8.000.000); Andrea Scanzani avesse rinunciato ingiustificatamente ad una parte consistente di mutuo pari a 6.500.000 talchè a giudizio dell’accusa la differenza necessaria per portare a conclusione il cantiere sarebbe stata corrisposta da Vitagliano Gaetano.
Tale ipotesi per come imbastita dalla pubblica accusa è stata liquidata dal giudice di appello con la seguente e lapidaria affermazione: “basta leggere le condizioni di mutuo”.
Andrea Scanzani è stato difeso in tutti i gradi di giudizio dagli avvocati Claudio Giacomoni del foro di Tivoli e Massimo Biffa del foro di Roma.

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INIZIATO ANCHE IL PROCESSO DI APPELLO PER I BENI SEQUESTRATI

Il 7 ottobre è iniziato il processo di Appello relativo alla confisca dei beni di Scanzani. Il 13 maggio del prossimo anno è attesa la sentenza.
Nel caso di revoca della confisca, gli immobili e le società torneranno nelle disponibilità dei proprietari, mentre se invece arrivasse la conferma della condanna, passerebbero nelle mani nell’Agenzia Nazionale dei Beni Confiscati che può assegnarli per altre finalità.
Le novità che arrivano dal processo penale, rendono gli imputati ottimisti.
Infatti, il giudice della prevenzione chiamato a revocare o confermare la confisca non può non considerare che per le ipotesi di reato, dalle quali consegue l’applicazione della misura, sono intervenute, nei confronti degli imputati, sentenze di assoluzione.
Oltre agli appartamenti di Pichini, infatti, si deciderà la sorte di molti famosi locali di Roma e Provincia.
In zona ci sono il Bar Vittoria di Monterotondo e il Bar Garden a Settebagni.
I proprietari lo scorso marzo hanno presentato un esposto alla Procura della Repubblica indicando una serie di situazioni anomale che stavano portando la proprietà della società che lo gestiva in altre mani, passando anche per una società a giurisdizione cipriota.
Sono gli effetti delle decisioni del Tribunale Ordinario di Roma – Sezione specializzata misure di prevenzione – che ha autorizzato gli amministratori giudiziari a procedere alla sottoscrizione dei contratti di affitto e di cessione di aziende riconducibili alle società e imprese attinte da misura di prevenzione nell’ambito dell’operazione Babylonia.
Una vicenda comune, dunque, a decine di altri bar e sale slot con i proprietari che evidenziano in particolare come la vendita non sia contemplata fino a quando arriva la sentenza di Appello relativa al sequestro.
Molti dei soggetti coinvolti hanno impugnato gli atti di cessione operati dagli amministratori giudiziari anche in sede civile in quanto ritenuti NULLI atteso che la normativa contenuta nel codice antimafia NON contempla l’ipotesi di vendita delle aziende in pendenza di giudizio.
Dopo il polverone mediatico e i proprietari che si sono incatenati per protesta di fronte al Tribunale di Roma, è stato tutto bloccato.
I vari esposti dei proprietari hanno fatto aprire anche tre fascicoli.
La Procura di Perugia dovrà verificare se queste operazioni di vendita erano regolari, chi ha controllato gli acquirenti che fossero persone trasparenti, se ci sono stati ammanchi.

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