GUIDONIA – Spese legali al difensore della funzionaria, non fu abuso d’ufficio

Gli ex dipendenti comunali Gilberto Pucci e Rossella Solidoro scagionati perché il fatto non è previsto dalla legge come reato

A sollevare il caso fu un “Corvo”, qualcuno molto esperto in materia giuridica, conoscitore di una sentenza pubblicata appena tre mesi prima del pagamento delle spese legali sostenute dalla dipendente accusata e poi prosciolta.

Secondo la Procura di Tivoli, quel rimborso il Comune di Guidonia Montecelio non avrebbe dovuto liquidarlo perché la funzionaria fu scagionata con formula piena ma per fatti diversi dai compiti di servizio. Per questo l’ex dirigente alle Finanze Gilberto Pucci e l’ex funzionaria alla Pubblica Istruzione Rossella Solidoro erano finiti sotto processo con l’accusa di abuso d’ufficio.

Oggi, venerdì 18 marzo, a distanza di 5 anni il Tribunale di Tivoli ha assolto i due ex dipendenti comunali perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, riformato dal Decreto Semplificazioni approvato dal Governo Conte a luglio 2020.

Il Collegio presieduto da Cristina Mazzuoccolo – a latere i giudici Anna Teresa Garcea e Giovanna Riccardi – hanno respinto la richiesta di condanna a venti mesi di reclusione proposta dalla Procura, accogliendo la tesi della difesa dei due imputati, gli avvocati Alfredo e Gabriele Scaccia per Gilberto Pucci e Livio Proietti e Stefano Saccucci per Rossella Solidoro.

L’ACCUSA: “LA PARCELLA ALL’AVVOCATO VITTORIO MESSA NON PUO’ ESSERE PAGATA”

A Pucci e Solidoro veniva contestato un danno economico alle casse comunali da 10 mila 512 euro e 53 centesimi, pari alla parcella emessa il 6 novembre 2015 dall’avvocato Vittorio Messa, difensore di fiducia che il 7 maggio di sette anni fa riuscì a far assolvere la funzionaria dall’accusa di truffa aggravata ai danni dello Stato.

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L’atto incriminato era la determina 120 firmata il 4 dicembre 2015 da Gilberto Pucci che – a fronte della richiesta presentata da Rossella Solidoro il 12 novembre – riconobbe alla funzionaria il rimborso delle spese legali sostenute per dimostrare la sua estraneità “ad una ipotesi di reato attinente alla propria funzione di dipendente comunale”.

La dipendente era stata fotografata per tre volte lontana dall’ufficio nell’orario di servizio, ma l’indagine dei carabinieri di Guidonia fu “smontata” da Messa in udienza preliminare e la funzionaria prosciolta per non aver commesso il fatto.

Fatto sta che Pucci pagò i 10 mila euro alla Solidoro facendo ottenere a Messa quello che la Procura definì “un indebito vantaggio patrimoniale” ottenuto indebitamente attraverso la richiesta della funzionaria e il rimborso delle spese legali da parte del dirigente, “pur essendo consapevoli entrambi – recitava il capo d’imputazione – che esso non era dovuto”.

LA LETTERA ANONIMA DEL “CORVO GIANFRANCO MELONI” E LA SENTENZA DEL TAR

A dieci mesi dalla liquidazione dei 10 mila euro ci mise lo zampino un “Corvo”, tal “Gianfranco Meloni” che il 6 ottobre 2016 protocollò a Palazzo Matteotti un esposto indirizzato all’allora commissario prefettizio Giuseppe Marani, al Prefetto dell’epoca Giuseppe Pecoraro, al Responsabile dell’Anac Raffaele Cantone, oltre che alle Procure presso la Corte dei Conti e presso il Tribunale di Tivoli.

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In una pagina scritta al computer il “ben informato” evidenziò che quella parcella all’avvocato Vittorio Messa non andava pagata coi soldi pubblici, citando la sentenza 4448 del 23 settembre 2015 con la quale il Consiglio di Stato negò il rimborso delle spese legali sostenute da due dipendenti del Comune di Gragnano, anch’essi indagati e poi scagionati dall’accusa di aver timbrato il cartellino per poi andare a riparare la porta di casa del loro capo ufficio.

A quel punto, l’esposto del “Corvo” e la determina di Gilberto Pucci finirono sotto la lente d’ingrandimento del commissario Marani e del segretario generale Annalisa Puopolo che invitò l’ex dirigente alle Finanze a rivedere il suo operato.

Il 30 dicembre 2016 Pucci firmò la determina 178 per revocare la determina 120, “essendo venuto a conoscenza di un fatto non preventivato al momento dell’adozione del provvedimento”, concedendo alla Solidoro trenta giorni di tempo per restituire i 10 mila euro.

Oggi pomeriggio il Tribunale di Tivoli ha stabilito che il reato non esiste.

Le motivazioni saranno pubblicate tra 90 giorni.

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