Metà agosto, squilla il telefono, leggo Tommaso, rispondo subito: “Direttò, buongiorno!!”.
E poi, invece del solito tono sarcastico e la battutina sagace sempre pronta, sento un peso forte sulla sua voce, una difficoltà dell’aria ad uscire dai polmoni per dare il giusto corpo e le consuete intenzioni alle parole.
Le parole che Tommaso Verga, in tutta la sua vita, ha saputo infarcire di passione per raccontare, insegnare e dialogare con chiunque avesse avuto voglia e disponibilità al confronto.
Senza padroni, mai, neanche per pagare l’affitto della redazione o mandare in stampa il giornale.
Molto prima di conoscerlo, era il 1995, Tommaso aveva combattuto battaglie difficili che avrebbero stroncato la voglia di scrivere e raccontare a chiunque. Avere la scorta sotto casa per aver scritto di mafie, dover rispondere con malcelata convinzione che non c’è da preoccuparsi a chi ti vuol bene e ti chiede preoccupato che sta succedendo, è una situazione difficile, che ti pone dubbi, paure e interrogativi senza fine.
Ma neanche la paura è stata mai padrona di Tommaso.
Ha sempre visto il lavoro come una missione da seguire, riuscendo ad evidenziale l’impronta della criminalità organizzata nel nostro territorio quando nessuno si sognava di farlo.
Un tipo di giornalismo locale (termine da lui mai troppo amato) capace di elevare la visione generale di quanto accadeva, cercando di collegare dettagli, posizioni politiche, documenti amministrativi, avvenimenti di per sé poco più che insignificanti, ma che se letti in maniera complessiva e con talento, componevano tutti i punti di un disegno, di una trama, di un racconto.
Un racconto da spiegare al lettore, con una modalità di cronaca che non era strumento di nessuno ma solo al servizio di chi legge, che non doveva essere apprezzata nei palazzi del potere ma nelle case dei cittadini, che non serviva a riempire buchi vuoti nei menabò o a “far marchette” come spesso accade.
Capire e far capire, stimolare uno sguardo diverso a chi teneva per le mani quel pezzo di carta inchiostrata che era la somma ultima di fatiche spesso difficili da far comprendere.
Ed ecco che questi presupposti fecondi fanno nascere esperienze e progetti, ecco che da piccoli e rivoluzionari gruppi di sognatori, dall’esperienza vera di Tommaso e da due stanzette in Via dei Tigli 4 al Bivio di Guidonia tra gli anni ’80 e ’90 cominciano a prendere forma settimanali mitici e unici, come Tendenze ed Hinterland.
Ecco che il talento e la capacità riescono a travalicare i confini spazio temporali del tabloid settimanale dell’area nord est della capitale e arrivare al quotidiano con la cronaca di “Roma Mattina” dell’Unità.
Impossibile da contenere in poche righe la grande capacità di Tommaso di far sentire protagonisti della storia contemporanea i tanti allievi che sono passati per le sue redazioni, che hanno resistito insieme a lui alla cronica mancanza di fondi e di mezzi, che hanno fatto fronte comune con lui quando si decideva di raccontare quella storia per com’era e non per come faceva comodo a qualcuno.
Personalmente, quell’esperienza con lui fu una delle poche parentesi lavorative nelle quali la mattina non stavo nella pelle per alzarmi da letto e andare in redazione, nelle strade, negli uffici e ovunque si potesse capire cosa stesse succedendo veramente. Ricordo le telefonate che arrivavano in redazione il giorno dopo l’uscita di pezzi scomodi anche verso coloro che in qualche teoria politica mai ben sposata da Tommaso, dovevano essere “amici”.
Il gusto che provavamo quando proprio quelle lamentele ci davano la dimensione di averci visto giusto, di aver capito che il giornale che con tanta fatica si portava avanti, non sarebbe mai stato il due di picche che manteneva in piedi un castello di carta fragile e pieno di buchi, ma doveva rappresentare uno stimolo al governante per far meglio e una lente d’ingrandimento per il lettore per vedere meglio cosa accadeva sulla sua testa.
E di allievi e compagni di viaggio Tommaso ne ha avuti tanti.
Ad ognuno ha dato qualcosa, un inflessibile lezione di dedizione, critica, rettitudine e vita attraverso l’esempio, la passione e l’autorevolezza, condita con quella dose di sano e tagliente sarcasmo dissacratorio che l’ha sempre contraddistinto.
Memorabili le sue battute e i siparietti divertenti che riusciva immancabilmente a inscenare soprattutto all’indirizzo dei politici che si credevano furbi e intoccabili, ruvide e implacabili le sue posizioni verso coloro che riteneva si sentissero i padroni assoluti del territorio e delle sue risorse, “come se le fossero comprate, come se fossero le loro”.
Non ha mai risparmiato critiche neanche agli amici, neanche a me. Non sono mancate discussioni a volte accese, prese di posizione diverse, necessità di spiegare decisioni prese e fiducia a volte mal riposte, ma sempre con quel filo diretto e sicurezza reciproca che ci ha fino alla fine caratterizzato.
Mi lascia un vuoto da comprendere e farci pace con difficoltà, poi da colmare con i mille progetti che avevamo in testa. Tommaso lascia un vuoto, umano e personale a quanti lo hanno conosciuto personalmente, ma lo lascia anche nell’informazione fatta per insegnare ad altri a farla, e ad esclusivo beneficio del lettore. Il gusto nello spiegare, la soddisfazione intima nel trovare la notizia e scriverla subito dopo aver verificato che fosse vera e che attendeva solo te per essere letta da tutti.
Grazie Direttò, la tua voce è sempre forte, potente e viva.
(Giuliano Santoboni)