Marcellina – Intervista a Padre Renzo, il frate amico dei giovani che bacchetta i vip

Ci racconti le sue origini a Marcellina, com’era Renzo da adolescente nel suo paese natio?
“Sono nato in una famiglia di modeste condizioni. Papà era guardia giurata nello stabilimento delle Calci Idrate d’Italia. Ho avuto cinque fratelli e una sorella. La mia adolescenza è stata semplice e serena, segnata dalla presenza di due persone che mi hanno aiutato donandomi principi e valori profondi: la mia maestra delle scuole Elementari Vera Giubilei, fu a lei che chiesi consiglio quando iniziai a sentire la vocazione, e il parroco don Ugo Antonucci”.

 

La sua vocazione di farsi frate, quando e perché?
padre renzo e il papa“Vissuto negli anni della rivoluzione Sessantottina, da studente sono stato coinvolto nell’ondata di contestazione anche se, con il passare del tempo e crescendo, ho dovuto riconoscere che certi atteggiamenti ci hanno travolto incantandoci e, nello stesso tempo, ingannandoci. Pur frequentando l’istituto Tecnico industriale, sentivo che dovevo fare qualcosa che contribuisse concretamente a migliorare la società. E da qui è nato il desiderio di operare nell’ambito della sofferenza umana. Ho frequentato la scuola Infermieristica che mi ha dato la possibilità di lavorare, poi, nel Policlinico Umberto Primo di Roma. Una data che ha cambiato radicalmente la mia vita è stata la vigilia di Natale del 1979. Prestavo servizio presso il reparto di Pediatria infettiva e, quella notte, morì una bambina che aveva pochi mesi di vita e sua madre era venuta a mancare durante il parto. Fu una morte che mi scosse profondamente. Tante domande mi salirono al cuore e mi chiesi, soprattutto, come potesse morire una bimba proprio nei giorni in cui si festeggiava il Natale di Gesù. Smontato dal servizio di lavoro in ospedale, invece di raggiungere casa, mi recai nella vicina Tivoli alla ricerca di qualcuno che potesse ascoltare la mia rabbia interna. Girovagando per la cittadina, mi ritrovai nella chiesa antistante la piazza d’ingresso di Villa D’Este, vi entrai e lì incontrai una suora che stava sistemando i fiori nella festa. Chiesi a lei se c’era qualcuno con cui parlare. Poco dopo, mi raggiunse un giovane frate Francescano che mi fece accomodare in una stanzetta della parrocchia. Lì parlammo a lungo. Non ricordo bene in particolare cosa ci dicemmo ma, uscendo, sentii che qualcosa dentro di me era cambiato. Forse era la prima volta che mi ero fermato a guardarmi dentro e, da qual momento, ho iniziato a ricercare il senso profondo della mia vita. Una ricerca che, dopo alcuni anni, si è concretizzata nel lasciare casa, lavoro ed affetti per iniziare quella che ho sempre amato chiamare “la bella avventura”. Sono entrato nell’Ordine dei frati minori e, dopo, c’è stato tutto un cammino che sarebbe troppo lungo raccontare.
Perché l’ho fatto? Tanti, soprattutto in quei giorni, me lo hanno chiesto. Potrei dare varie risposte, ma penso che la più valida sia che mi ero innamorato di Dio! Il resto è stata tutta conseguenza logica. Guardando indietro vedo un filo d’oro che lega vicende, momenti, incontri e anche sofferenze, e che oggi mi ha portato ad essere quello che sono. Mai avrei pensato di vivere qualcosa di tanto bello e grande”.

 

Quali sono i valori di un marcellinese e qual è la vera identità di Marcellina?
“Marcellina è ancora un paese in cui i valori, che la società di oggi sta quasi per dimenticare, sono tenuti vivi da una comunità unita e non contaminata dal mondo moderno, pur se vi sono eccezioni che confermano la regola. La cosa più importante, però, è che nel paese prevale ancora un senso di solidarietà, anche al di fuori del rapporto indissolubile della famiglia. È proprio in questi valori che Marcellina trova la sua identità, cioè quella del paese, anche se si trova alle porte della Capitale”.

 

Padre ci parli dei giovani d’oggi e delle differenze con i ragazzi della sua generazione.
“Nel corso degli anni, la mia vocazione francescana mi ha portato ad incontrare tantissimi giovani, soprattutto nelle scuole Superiori dove sono chiamato per delle assemblee, e i giovani mi pongono tante domande. Sabato scorso sono rientrato da Genova, dove mi avevano invitato a parlare agli studenti di Istituti scolastici superiori e, dopo, ai loro insegnanti. Confrontandomi con i giovani di oggi ho la sensazione che siano passate tre o quattro generazioni da quella mia. Noi siamo stati una generazione che usciva dalla guerra e la famiglia era un punto di riferimento fondamentale. Non avevamo tante possibilità economiche, ma eravamo contenti e sereni, non sapevamo che cosa fosse la solitudine. Ho notato, anche, che noi eravamo più maturi. Oggi i giovani, pur avendo certamente più stimoli, hanno una fragilità e una solitudine interiore incredibile. Anche il valore dell’amicizia era più profondo ai miei tempi. Mi accorgo, infatti, che pur con il passare degli anni e con la lontananza, le amicizie di allora non sono state scalfite dagli eventi. Ogni volta che ritorno in paese è una festa. Oggi si sta insieme uno accanto all’altro, ma ognuno è solo con il suo mondo interiore, ingannati e prigionieri delle proprie illusioni”.

 

Quali sono le difficoltà dei ragazzi nell’attuale società civile?
“Oggi viviamo in una società che ci soffoca, che ci opprime, che ci porta alla ricerca di continue necessità. È proprio in questo clima che i giovani trovano tante difficoltà: sono disorientati, senza prospettive future, senza lavoro e alla ricerca di un qualcosa che neanche loro sanno cosa sia. Purtroppo, non tutti reagiscono con dignità e determinazione, e le persone più deboli cadono, spesso, nel tunnel da cui è difficile uscire, cioè nell’alcool, nella droga, negli psicofarmaci. Ecco quali sono i problemi della società moderna, problemi scaturiti dalle mille difficoltà che i ragazzi di oggi si trovano ad affrontare”.

 

Il suo paese è stato colpito da diversi lutti, giovani vite spezzate precocemente: un suo pensiero per Andrea Giosi ed Edoardo Conte.
“Sono da trentatre anni frate Francescano e, stando accanto a tante persone, ho vissuto momenti di dolore drammatici che mi hanno turbato: ma posso dire che la morte di Andrea e di Edoardo mi ha coinvolto in maniera molto profonda, certamente anche per il legame che ho con le loro famiglie. Da Andrea Giosi ero considerato uno zio, tanto ero legato alla sua famiglia, ero amico di gioventù dei suoi genitori che mi avevano voluto come testimone del loro matrimonio e padrino di Battesimo del fratello Marco. Di Edoardo Conte ho celebrato il matrimonio dei suoi genitori. La loro morte prematura è stato un lutto che mi ha turbato tantissimo fino a destabilizzarmi. Ho presieduto alla celebrazione dei loro funerali, avvenuti a distanza di un mese l’uno dall’altro. Mentre per Andrea ero turbato dall’incredulità di quanto accaduto e, dentro di me, si alternavano sentimenti di dolore ma anche di umana rabbia che mi davano la forza per celebrarne il funerale, per Edoardo, che ho seguito con apprensione per tutto il mese in cui era in coma, mi sono sentito impotente ed ho dovuto quasi fare violenza su me stesso perché, interiormente, ero schiacciato dal peso e dal dolore di trovarmi nuovamente davanti ai miei compaesani per celebrarne il funerale, E non avevo risposte ai tanti perché che, soprattutto i loro giovani amici, mi ponevano”.

 

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Spesso si parla e si legge a sproposito della comunità di Marcellina, come è possibile contrastare questo fenomeno o pregiudizio?
“Manco da Marcellina da tanti anni, ma la seguo costantemente e vi ho sempre mantenuto la mia residenza. In questi anni sono rimasto in contatto con tantissimi miei compaesani. Purtroppo, leggendo i giornali, vedo un paese penalizzato dalla stampa che, a volte, sembra quasi ne goda a mettere in risalto, spesso esagerando, avvenimenti spiacevoli o misfatti che riguardano i singoli individui e non la comunità. La comunità, invece, è composta da persone oneste, grandi lavoratori e con un forte senso della dignità. Sono figlio di questa terra che mi ha dato i natali e sento tutto l’orgoglio e la fierezza di appartenerle”.

 

Quale messaggio per i suoi concittadini si sente di dare alla vigilia di Pasqua?
“Come cristiani, sappiamo che la Pasqua è la festa più grande e importante dell’anno ed è centrale nella nostra vita di Fede. San Paolo ci dice che “Se Gesù non fosse risorto saremmo da compiangere tutti quanti…”, perché se la vita consistesse solo in questi pochi anni e tutto finisse dietro una lapide al cimitero, veramente, non avrebbe senso più nulla. Gesù è risorto ed anche noi un giorno risorgeremo. L’augurio che faccio ai miei fratelli e sorelle concittadini è quello di risorgere dal senso di rilassamento generale che ci rende indifferenti verso gli altri ed operare concretamente per il bene di tutti. Dobbiamo lasciare un buon ricordo.
In questi anni di Ministero sacerdotale, nei quali ho fatto esperienze concrete nel carcere come cappellano, nelle comunità per tossicodipendenti, negli ambienti di povertà, non solo alimentare ma anche morale, la cosa che mi ha più turbato è quella di vedere persone che muoiono con nel cuore l’amarezza di essere stati egoisti ed ipocriti e con il rimpianto di non avere vissuto una vita piena, degna della persona umana. Alla fine ognuno raccoglierà quello che ha seminato. Lasciate un buon ricordo, fate in modo che i vostri figli siano orgogliosi di avere avuto genitori e parenti onesti. Sforzatevi di operare per il bene del paese. Mi ha fatto un enorme piacere la confidenza di una donna che mi ha fermato dopo la Messa per il funerale di Andrea e mi ha ringraziato delle parole pronunziate nell’omelia che l’hanno spinta a riavvicinarsi ad una persona con cui non parlava da diversi anni e a scambiarsi il segno della pace: questo è un segno concreto di Pasqua vissuta”. 

 

Infine, il ricordo del messaggio del 7 gennaio scorso che fece scalpore tra l’opinione pubblica. “Il più bel regalo che potete fare a Pino è di restare uniti”, così padre Renzo, l’amico Francescano di Pino Daniele, dichiarò nel Santuario del Divino Amore ai funerali del noto cantautore. Padre Renzo guardando i cinque figli dell’artista napoletano, nati da due matrimoni, continuò. “State uniti. Già si sente qualche voce strana in giro. Se non state uniti vuol dire che Pino ha fallito come padre e come uomo”. 

Poi sempre in quell’omelia frate Renzo si rivolse ai politici, ai vip, ai curiosi e agli artisti presenti ed indicando il feretro disse: “La realtà della vita è questa, vedete, si parte tutti quanti. Quindi è meglio interrogarsi bene su che senso ha la vita”. Poi le frecciate al mondo dell’effimero: “Tutte ‘ste vamp, ‘ste persone, e poi ecco qui. Crediamo di essere eterni. Invece non lo siamo. Se ci pensassimo di più ci vorremmo un po’ più bene. Ricordate, saremo giudicati sulla carità”.

Gino Ferretta

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