I Settecento anni di “Padre Dante”

La notte tra il 13 e il 14 settembre 1321 ci lasciava l'autore italiano più letto al mondo

Non tutti sanno che in Germania esiste un insegnamento specifico della lingua italiana che aiuta i tedeschi a leggere Dante nella sua lingua. (Come succede qui in Italia per Goethe ed Hegel).
Anche da noi, i luoghi in cui si conserva meglio il verso di ‘Padre Dante’ non sono le università e i licei, bensì associazioni di lettori che si riuniscono per dare voce al verso.
E non conta più la classificazione che fu di Benedetto Croce tra canti meglio riusciti e non.
Il respiro del testo se si prende la briga di leggerlo senza fretta, senza la pretesa di entrare e capire come per una narrativa qualsiasi, ci dice tutto quel che possiamo apprendere da un’esperienza tramandata sulla pulsione di vita e sulla pulsione di morte.
Il percorso è quello tipicamente esistenziale. Lo stato della colpa, della redenzione e della liberazione in uno stato di grazia che solo l’Altissimo può agostinianamente concedere, può essere contemplato solo con l’aiuto di un mentore. Nelle prime due cantiche è Virgilio – “tu duca, tu signore e tu maestro” – in Paradiso c’è bisogno dell’ideale di moralità e santità personificato da Beatrice.
Gli incontri trascendenti sono l’emblema di quelli di cui la nostra vita reale si forgia. Le loro esperienze di colpa, ma anche di redenzione, esaltano, invece di dare risposte consolatorie, il diaframma che c’è tra la voglia di vivere e la conduzione di una vita etica. L’uomo non potrà mai essere giusto, pare volerci insegnare questo percorso esistenziale in cento canti. Può però adoperarsi costantemente in un processo di emancipazione dai richiami più viscerali della mondità.
Ed è per questo che a distanza di settecento anni Padre Dante dice molto. Nei luoghi limiti del dicibile dice tutto quel che può esser detto su processi più grandi di noi ma che si muovono dentro e fuori di noi.

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