6 gennaio 1985, la neve a Roma …

Come nel ’56 e nel ’71 sembrava che portasse una ventata di pulizia e novità

Essendo un evento raro quello della precipitazione nevosa in Italia centrale pare sempre porti con sé un alone di magia, di novità, quantomeno costringe a una pausa involontaria perché le città sono mali equipaggiate per rispondere alle nuove esigenze di mobilità.

Così fu in quel 6 gennaio del 1985. Erano tempi in cui si era usciti dal gran timore di una incombente nuova glaciazione della Terra. Questo dicevano i climatologi di fine anni Settanta. Le estati calde avevano fugato ogni timore. Anzi il caldo cocente delle estati primi anni Ottanta guardava al buco dell’ozono in atmosfera come nuova paura dilagante tra le conversazioni.

La neve arriva come pacificatrice. Come conciliatrice di una tensione immantinente. Ci dice che un altro modo di esistere è possibile. Il bianco come colore di sfondo su tutto appare come la grande consolazione di vivere solo per lavorare e per alcune sceme gioie. Era conclusa la fase delle stragi, degli Anni di Piombo, del terrorismo. In Italia governava Craxi e si tentata di dare un’alternanza democratica alle conduzioni di governo: non solo e sempre la Democrazia Cristiana a Palazzo Chigi, ma anche suoi precedenti oppositori. Magari dal mondo laico e progressista. Magari i socialisti e non i comunisti. Magari Bettino Craxi. E così fu.

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Lo stipendio di un operaio era di seicentomila lire, un quotidiano costava seicentocinquanta lire, un caffè al bar costava quattrocento lire… Quindi un operaio prendeva col suo stipendio circa millecinquecento caffè. Oggi arriva a malapena a prenderne mille. Potrebbe rappresentare l’estrema sintesi tra ieri (6 gennaio 1985) e oggi, 6 gennaio 2024.

Ed a proposito del senso del nuovo, come nel ’56 segnava l’avvio definitivo di una nuova fase per la nostra vita che era uscita anche moralmente dai grigiori del conflitto, come nel ’71 segnava l’avanzata di una fase di grandi battaglie sociali e progressiste, quella dell’ ‘85 avrebbe visto la decadenza e caduta di quelle grandi battaglie con la sconfitta del sindacato e del Pci al referendum sulla scala mobile, l’arrivo di Francesco Cossiga a presidente della repubblica, in Russia l’arrivo di Gorbaciov.

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Ma cosa, più importante, quella nove evidenziò l’arretratezza del nostro paese rimasto in ginocchio davanti a un evento ordinario in altre parti del mondo come la neve. A Roma determinò la paralisi di molti uffici. Il Partito Socialista lo prese a pretesto per sferrare un attacco alla giunta tenuta in piedi da una coalizione di sinistra. La paralisi di Roma per la neve, negata dal sindaco allora in carica Ugo Vetere, creò una condizione di incomunicabilità ancora più forte tra i due partiti della sinistra: Pci e Psi. Era chiaro che non riuscivano nemmeno a dialogare.

I socialisti avevano preso a parola chiave l’efficienza piuttosto che l’egualitarismo, i comunisti avevano anch’essi superato l’idea di una livella sociale ma non avevano uno schema sostitutivo.

La neve e le sue conseguenze parve far uscire tutte queste contraddizioni. Un momento, quindi, che faceva emergere “la positività della crisi”. Oggi parlare così significherebbe bestemmiare. Ma l’effetto della neve è quello anche di attutire il flatus vocis.

 

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