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Argomento spinoso, l’obbligo del green pass, così meglio tacere

Sull’argomento, pochi i commenti di tanti lavoratori, altre volte abbastanza ciarlieri

Dell’obbligo di green pass che scatta domani, dopo la bagarre dei noti fatti di cronaca, non è che si vuole molto parlare, tra i lavoratori (persino i sindacalisti di solito sempre pronti), divisi in questa fase anche tra chi riconosce o meno il decreto del Governo.

In queste ore, prima di tutto per ragioni di privacy, non è possibile evidenziare le percentuali dei dipendenti che non si presenteranno al lavoro. Alcuni imprenditori da noi contattati hanno risposto che, per la maggior parte dei casi, i loro collaboratori sono già vaccinati, per quelli che non lo sono sicuramente si troverà una soluzione equilibrata.

Il presidente e amministratore delegato della Trelleborg Wheel System con sede a Villa Adriana, Paolo Pompei, ribadisce che “secondo la normativa vigente noi non possiamo sapere chi è vaccinato o meno e non lo chiederemo”, sottolineando come per loro sia “importante che ogni lavoratore entri con il green pass e non prevediamo al momento assenze”.

Per quanto riguarda Amazon, già da tempo si è iniziata una pratica per cui ogni 15 giorni chi voleva poteva fare il tampone gratuito offerto dall’azienda, tuttavia per la dirigenza italiana della multinazionale, la vaccinazione rappresenta lo strumento migliore per contrastare la diffusione del virus tanto è vero che in diverse sedi, come quella a Passo Corese, ha aperto hub dedicati. Il green pass viene chiesto non solo ai dipendenti e ai dipendenti dei fornitori ma anche a tutti gli autisti di servizi di consegna, inclusi quelli in arrivo dall’estero.

Oggi si sa che da questo versante sale una forte protesta, anche perché tanti autisti (in particolare provenienti dai paesi dell’Est) sono vaccinati con vaccini non riconosciuti in Italia.

Trasporti e autisti rimangono dunque nodi importanti da sciogliere. Perché se è vero che ad esempio nei grandi supermercati non c’è il pericolo di trovare le porte chiuse (anzi, dicono i diversi sindacati interpellati, i lavoratori, anche durante le fasi più critiche della pandemia, hanno mostrato grande responsabilità), è pur vero che certi prodotti potrebbero avere difficoltà nell’arrivare sugli scaffali. Si tratta tuttavia di una ipotesi abbastanza lontana.

Si capisce comunque pure come, davanti alle prenotazioni accelerate di tamponi e vaccini, i lavoratori non vogliano abbandonare il loro posto di lavoro. L’alternativa è di rimanere senza stipendio fino alla fine dell’emergenza del 31 dicembre: sono veramente pochi (ma ci sono davvero?) quelli che possono permetterselo.

 

 

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