Guidonia – “Mangia, bevi e fregatene. Ecco come sono arrivato a cent’anni”

Si chiama Angelo Favetta, lo chiamano “Angelino”, a Setteville lo conoscono pure i sassi, e domenica 3 maggio sono stati tanti a fargli gli auguri per i suoi cent’anni compiuti il 30 aprile, quaranta dei quali passati dietro al bancone della tabaccheria-edicola di via Giosuè Carducci.
Parenti, amici, conoscenti e clienti si sono ritrovati nel giardino della villa della figlia Paola che da 25 anni insieme al marito Marcello Novelli gestisce il locale prospiciente la Tiburtina che ha fatto la storia della borgata.
Accanto ad Angelo c’erano anche il primogenito Ivo oggi 65enne, i cinque nipoti Ezio, Flavio, Roberto, Massimo e Flavia, oltre ai cinque pronipoti, e a tanti abitanti di Setteville che lo hanno sempre stimato. Nato a Monte San Giovanni in Sabina nel reatino da genitori contadini, “Angelino” è orfano di guerra, perché papà Concetto morì in prigionia il giorno del suo secondo compleanno e il nome del genitore compare nella lapide in onore ai caduti eretta nel cimitero del Verano.
Fu mamma Nazzarena Donati, detta “Maddalena”, a crescere lui e il fratello maggiore Primo, ad avviarlo dopo la seconda elementare al lavoro nei campi: contadino prima, pastorello poi, un’infanzia e un’adolescenza povere ma felici fino a quando decise di raggiungere lo zio materno Romeo Donati a Portonaccio, per fare il “pizzicarolo” nel suo negozio di alimentari.
“Era il 1935 e il paese non mi piaceva più – attacca Angelo Favetto, che oggi vive in un appartamento di Setteville in compagnia della badante dopo la scomparsa della moglie Pia Chini lo scorso dicembre – Ricordo che all’epoca facevo consegne in bicicletta e portavo due cesti di pane pieni da via Tiburtina fino al Divino Amore”.
Andò così fino al 1942, l’anno in cui lo zio gli cedette la licenza e da garzone divenne padrone fino al 1970. Fu allora che cedette il locale a Portonaccio e quattro anni più tardi investì a Setteville.
“Acquistai la tabaccheria interna al bar – ricorda nitidamente “Angelino – dopodiché trasferii l’attività nel locale adiacente. Nel frattempo il 9 ottobre del 1948 a Montenero Sabino avevo sposato Pia, cugina di un mio cugino, e ogni giorno da Portonaccio, dove abitavamo, raggiungevo via Carducci in autobus oppure a piedi”.

Ma è vero che fino a 90 anni ancora andava dietro al bancone della tabaccheria?
“Che c’è di male? Ci crede se le dico che quando lavoravo non sono mai riuscito ad andare da solo al bar a prendere un caffè, se non quando venivano i piazzisti?”.

Il lavoro cos’è stato per lei?
“Tutta la mia vita”.

E la vita come la definirebbe?
“Bella. Sono soddisfatto, sono nato povero ma non mi è mancato nulla. Ora mi manca qualche giorno in più da campare”.

Il momento più bello?
“La gioventù. Si lavorava dalla mattina presto alla sera tardi, ti incontravi con gli amici e non ti facevi mancare il bicchiere di vino”.

E quello più brutto?
“Non ce l’ho mai avuto”.

Come fa ad essere sempre così positivo?
“Ma perché? Mi manca qualcosa?”.

Com’è arrivato a cent’anni?
“A piedi”.

Non scherzi sempre… Intendevo dire se ha un segreto.
“Sì: mangia, bevi e fregatene degli altri”.

Mangia ancora tanto?
“Mangio tutto, tranne i dolci: specie quegli intrugli che pubblicizzano alla tv, mi sazio soltanto a guardarli”.

In tv cosa guarda?
“Mi piacciono i film di guerra”.

Intende quelli in bianco e nero?
“Anche se sono rossi, fa lo stesso”.

Come trascorre le sue giornate oggi?
“Mi alzo quando mi pare, spesso alle 7 e a volte alle 8, ma capita pure che dormo fino alle 9: tanto non ho niente da fare. Poi dalla sedia di casa mia mi trasferisco su quella di casa di mia figlia in via Tiburtina, davanti alla tabaccheria”.

Che consigli dà a nipoti e pronipoti?
“Di essere bravi e onesti, perché con l’onestà dove vai, vai bene”.

Ci pensa mai alla morte? Ne ha paura?
(Fa gli scongiuri).
“Di cosa dovrei aver paura? Con la mia badante sono rimasto d’accordo che se vado per terra di notte le busso alla porta e le dico: “Corri, corri che domani tocca a te”. A proposito: ce l’ha un cliente che vuol comprarsi la morte? Faccio un prezzo buono”.

Marcello Santarelli

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