Daniele Coccia, dai Surgery al Muro del Canto

muro-del-canto-074-800x600-402x600L’Italia non è forse il posto più adatto per fare musica rock o alternativa: è spesso vista come una cosa aliena alla nostra cultura e anche i giovani spesso preferiscono affidarsi a nomi provenienti dall’estero, per farsi accompagnare durante le giornate. Grossi nomi a parte, che sono comunque internazionali. 
Ci sono però tanti casi fortunati di piccole esperienze che giocoforza riescono a farsi strada anche in un Paese difficile anche in 
questo contesto, come l’Italia.
Due di questi ‘casi fortunati’ arrivano proprio da Guidonia: stiamo parlando de

 

Daniele, parliamo prima di tutto del tuo primo progetto, I Surgery. So che vi siete formati nel 2000, dopo dodici anni di esperienza a che punto siete?
“Con i Surgery siamo al sesto disco, uscito proprio quest’anno, ed intitolato Reset. Il disco sta andando bene, soprattutto a livello di recensioni sulla stampa e sul web stiamo andando a gonfie vele. Questo è il terzo disco prodotto dalla Altipiani Records, a cui siamo grati per aver creduto nel nostro progetto.
Il live del 23 luglio 2012 a San Lorenzo Estate invece sarà l’ultimo per un po’. Questo perché la musica dei Surgery è molto poco adatta ad una situazione estiva all’aperto e più ad un contesto da club al chiuso. Ci impegneremo in una fase di studio per fare cose nuove in maniera diversa per il futuro”.

 

In un’altra dimensione sonora è Il Muro Del Canto. Com’è nato questo progetto, decisamente teso alla tradizone romana piuttosto che all’elettro-industrial dei Surgery?
“Tutto è nato perché parallelamente ai Surgery dal 2004 stavo lavorando ad un disco mio solista, che tutt’ora non vede luce. Un giorno ho composto una canzone in romanesco, che non c’entrava niente né con i Surgery, né con il mio album in lavorazione. Ho così chiesto ad un po’ di amici di aiutarmi ad arrangiare questa canzone e così è venuta fuori Luce Mia, il primo singolo de Il Muro Del Canto.
La canzone venne fuori in maniera egregia, più tendente al cantautorato rispetto a tutto ciò che avessi mai fatto. Dall’arrangiamento di quella canzone è nata l’ispirazione per altri tre/quattro pezzi. Da lì ho messo su la band con un po’ di miei amici, che poi è l’attuale line up de Il Muro Del Canto ed eccoci qui. A dicembre registrammo la prima canzone e dopo tre mesi ci fu il primo concerto. E piano piano tutte le canzoni de L’Ammazzasette (il disco de Il Muro Del Canto ndR) sono state scritte e registrate”.

 

Suonate molto dal vivo con Il Muro Del Canto?
“Sì, parecchio, soprattutto l’estate abbiamo una forte richiesta. Questo è il terzo anno che giriamo in tour. I temi che affrontiamo sono tutti molto tristi, anche arrabbiati se vogliamo. Ma il romanesco attira anche un pubblico diverso, si suona parecchio nelle piazze e la gente è contenta.
La scelta di cantare in romanesco è stata influenzata anche da altre esperienze simili nate negli ultimi tempi a Roma? Ad esempio gli Ardecore che propongono per metà del proprio repertorio stornelli tradizionali romani, riadattati in chiave moderna ma non stravolgendone il senso.
Ci hanno fatto spesso questa domanda. Gli Ardecore ci piacciono parecchio, ma a dir la verità non li abbiamo mai ascoltati troppo. Anche se a volte mi chiedo: se non fossero esistiti, Il Muro Del Canto avrebbe avuto una risposta altrettanto positiva? Però mi piace sottolineare il fatto che ad esempio la scrittura di Luce Mia è stata influenzata tantissimo dagli ascolti che ho fatto sin da piccolo, attraverso mio padre, de Il Canzoniere Del Lazio che proponevano stornelli a sfondo sociale o anticlericale. Ascolti che sono proseguiti anche alle scuole superiori: avevo fatto una cassetta al chitarrista dei Surgery e le suonavamo insieme in giro. Quindi il pensiero di un progetto simile era presente da parecchio tempo..già con i Surgery a volte abbiamo fatto in acustico Bevi Bevi Compagno per esempio. Per il resto, l’utilizzo del dialetto romano è decisamente la cosa più immediata che posso fare visto che è la mia lingua, ci penso, ci rifletto. Se mi viene l’intuizione, con l’uso del romanesco riesco a metterla nero su bianco in modo più veloce e diretto. Con l’italiano è più difficile, è una lingua decisamente più “bastarda” dal punto di vista della composizione”.

 

Qual’è stata fino ad ora la tua più grossa soddisfazione dal punto di vista musicale?
“Ce ne sono state, anche piccole. Con i Surgery ad esempio mi piace sottolineare la nostra collaborazione con la Rettore o con Combichrist, le varie uscite dei videoclip, le uscite dei dischi…tutte mete importantissime per noi.
Cose che non mi sarei mai aspettato a dir la verità, la facilità del raggiungere artisti di un certo calibro semplicemente attraverso una mail, la loro collaborazione in forma gratuita, cosa che viene a significare che apprezzano la nostra musica…anche la stessa collaborazione con Altipiani Rock che crede in noi e ci finanzia: pure se non è un’etichetta grande è motivo di grande soddisfazione personale”.

 

Passando allo specifico, tu sei nato e cresciuto a Guidonia. Quanto ha influenzato tutto ciò la tua esperienza musicale? Se fossi nato altrove il tuo “viaggio” sarebbe stato diverso?
“Secondo me sì, sarebbe stato diverso. Quello che noto è che i musicisti che provengono dai paesi, anche dai Castelli o dalla zona della Prenestina, hanno tutti un approccio diverso da chi viene dalla città. A Roma più o meno si copiano tutti: si guardano, si imitano, si sfidano. Nei paesi hai l’habitat giusto per crearti un carattere tuo. C’è un approccio più rustico alla cosa, ma rustico in senso positivo.  Guidonia mi ha influenzato perché quando ero piccolo (dai tredici anni in su) l’unica cosa che si poteva fare era suonare. Ci ritrovavamo in una saletta qui su Viale Roma e facevamo le prime prove. Ascoltavi un disco di Elvis e poi ti mettevi a suonare”.

 

Hai dei ricordi  importanti prettamente musicali legati a Guidonia?
“I primi concerti li abbiamo fatti qui a Guidonia quando avevamo quindici anni. I ragazzi più grandi, con il fatto che eravamo più piccoli, ci davano la possibilità di fare concerti, ci mettevano sempre in mezzo. In questo siamo stati favoriti ed anche fortunati: quando si era sui sedici/diciassette anni già alle spalle c’era l’esperienza di venti o trenta concerti. Una cosa che ti aiuta a conoscere il palco, la gente, a non vergognarti durante l’esibizione”.

 

Andresti mai a vivere lontano da Guidonia?
“Quando torno a casa da Roma penso sempre che Guidonia è decisamente meglio di Roma. C’è meno caos, c’è meno traffico. Però poi penso alla discarica, penso alle cementerie, penso alle difficoltà del vivere della gente e sinceramente mi dico “Ma perché tenermi questa casa, meglio venderla…” Ma alla fine ho mio padre, ho mia madre, gli amici stretti tutti qui. In realtà ho pensato a spostarmi non a Roma, ma verso Palombara Sabina ad esempio, dove l’aria è migliore”.

 

Oltre Il Muro Del Canto e i Surgery secondo te ci sono progetti musicali validi provenienti da Guidonia?
“Sicuramente i Palcoscenico Al Neon che sono nostri amici da sempre. Poi anche i Metropolitan Ratto Sweet, anche se non sono proprio di Guidonia ma più della zona di Tivoli”.

 

Quanto c’è di Guidonia nei Il Muro Del Canto?
“Onestamente non tanto, è un paese che non ti lascia troppe suggestioni. Una cosa che mi ha lasciato Guidonia è il mio antifascismo, essendo una città molto di destra. Ci ho fatto i conti sin da piccolo, anche se non ho mai avuto in realtà, problemi di nessun tipo”.

 

Come hai percepito il cambiamento di Guidonia da quando eri piccolo? Secondo te, visto il momento, ci sono della speranze future per una crescita anche dal punto di vista culturale?
“Questo non è un posto dove la cultura ha molto spazio. Se pensiamo a Montecelio, un paese di 2000 abitanti, dove c’è sempre una continua ricerca di cultura, c’è un teatro, una Pro Loco che ci tiene. Qui a Guidonia si respira più che altro un’aria da quartiere dormitorio. A volte non è solo l’amministrazione, ma ci si mette pure la gente comune a rendere difficile la situazione: hanno inaugurato la Piazza del Mercato, adibita a spazio culturale, ma dopo venti giorni è già piena di scritte fatte con le bombolette sulla Roma e sulla Lazio.
C’è un teatro che forse quest’anno andrà inaugurato, ma anche lì bisogna vedere che direzione gli vogliono dare…qui funziona più la sagra! Da piccolo ho visto Vasco Rossi, Venditti, Pierangelo Bertoli, c’era un bellissimo Carnevale. Ora mi sembra tutto molto più annacquato. Sono stati fatti multisala, McDonald. Ci sono delle associazioni culturali che devono comunque sempre raschiare il barile.
Per alcuni è normale tagliare come prima cosa la cultura: per me se al popolo dai anche motivazioni culturali, l’impulso per andare avanti è sicuramente maggiore. Toglieteci il pane, ma fateci ridere”.

Emanuele Chiti

 

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