demagogia del sì

REFERENDUM – No alla demagogia del sì

L'intervento dell'ex direttore di Tiburno Angelo Nardi

Nel confronto di opinioni sul referendum che intende tagliare 345 parlamentari, mai come adesso, si giustappongono i pareri dei singoli più che le prese di posizione di partito. Gli unici che si sentono fedeli alla linea infatti sono i cinquestelle. E forse con qualche dubbio. Perché mai la parte dei pentastellati che esalta il valore del confronto, della democrazia diretta, dovrebbe fare a meno di parte della sua rappresentanza? Perché un cinquestelle che partecipa al dibattito, fa proseliti, dice la sua in ogni dove, dovrebbe vedere fortemente ridotta la speranza di diventare deputato o almeno essere candidato? Dove sono le ragioni per l’evidente limitazione della democrazia rappresentativa? Perché la nostra repubblica parlamentare deve ridurre proprio sul peso numerico della sua principale rappresentanza? Sono quesiti che non possono sfuggire a un grillino prima o seconda maniera. IL fatto che sia fatto un obiettivo di bandiera nel momento in cui tirava la retorica anti-casta si capisce perfettamente. Ma ora quella retorica si è trasformata in attenzione tesa ad appurare la vera logica di casta. E allora ci si accorge che le caste in Italia esistono, sono molte e non riguardano la classe politica che almeno ogni cinque anni è sottoposta a una ridiscussione totale.

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LE RAGIONI DEL NO

Un ragionamento per il “NO” dovrebbe infatti cercare di smuovere quelle coscienze che qualche anno fa hanno assecondato l’impeto del “arrendetevi, siete circondati!” Ora è Torquemada nel palazzo. Ci si trova bene. Cerca di fare quel che può e ha capito che il mestiere è ben diverso se visto dalla strada. –

Restano intatte, ovviamente, tutte le altre motivazioni per il No: 1) risibile risparmio; 2) svuotamento del pluralismo; 3) affidamento della rappresentanza a una nomenclatura; 4) incongruità in operazioni tipo l’elezione del presidente della repubblica in cui i rappresentanti delle regioni sarebbero eccessivamente pesanti alla conta dei voti; 5) non soluzione del principale problema della lentezza dell’iter parlamentare dovuto al bicameralismo perfetto; 6) necessità di riequilibrare il peso specifico del legislatore accanto agli altri organi costituzionali che l’indomani della vittoria del Sì vedrebbe sé stesso screditato dal sentimento popolare; 7) ripensamento del modello elettorale che con una sotto-rappresentanza dovrebbe essere completamente ripensato creando ulteriori problemi. Si potrebbe infatti dire: perché non riprendere un sistema maggioritario? Almeno il candidato deputato di collegio lo vedo, lo ascolto, sono obbligato a rapportarmici e lui è obbligato a rapportarsi al suo territorio che l’ha eletto… – Al pentastellato dobbiamo dire di ricredersi. Pur accettando le sue motivazioni mosse da autentico e sano spirito etico, dobbiamo spiegare che questa modifica non riforma ma distorce. Tutto il resto è chiacchiera del peggio parlamentarismo. Questo produce il dibattito sulla riduzione dei deputati: il peggiore politicantismo. Sì perché il PD è al momento indeciso se dare indicazione a votare per il Sì e se lo farà avrà una miriade di dissenzienti. E’ indeciso, giustamente, perché ha avversato questa misura ma teme che se non passasse dovrà aspettarsi altrettante ritorsioni dai cinquestelle che lo accuseranno di non aver rispettato gli accordi. La Lega e Fratelli d’Italia sarebbero anche per dare indicazioni per il Sì, assecondando la retorica popolare, ma l’idea di una vittoria del No con gli effetti di veder scricchiolare il governo è troppo ghiotta. E’ un dibattito questo che non alza l’asticella. La abbassa. E di questo potevamo benissimo fare a meno.

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Il blog dell’ex direttore

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