Una donna al Quirinale: il momento giusto, dirà qualcuno sulla spinta delle immancabili quote rose che secondo un bel po’ di gente dovrebbero essere messe un po’ dappertutto, come si fa con il prezzemolo. Ma davvero andrebbe bene, sulla scia del “basta che sia donna”, per sottolineare che paese avanzato siamo (neppure gli Usa ce l’hanno fatta, a votare una donna, preferendo a Hillary Clint lo spettinato Donald Trump)? No, bene proprio non va. Affatto.
Al Quirinale ci deve (pardon, ci dovrebbe) andare chi ha le competenze per farlo, al di là del sesso. A parità di merito, prima di tutto, vinca il/la migliore.
Sarebbe una vera e propria ipocrisia (tra le tante), promuovere una versione femminile al Colle, così, per far finta di non vedere l’ampia percentuale di disoccupate che non rientrano nei conteggi del mercato del lavoro “in salita”, o di quelle femmine pagate per un part time ma costrette per la stessa cifra, ufficiosamente, a giornate lavorative lunghissime, o di quelle obbligate a dimettersi da un lavoro cercato, desiderato, amato, perché hanno avuto la sbadatezza di avere un figlio, o, ancora, di quelle che a parità di mansioni sono pagate meno di un collega maschio (e tutti sanno che il lavoro duro e “sporco” spetta a loro, perché spesso lo sanno fare meglio). Non sono parole retoriche o invenzioni, queste: la nostra società è ricca di disparità e quelle tra maschio e femmina (per tacere in questa sede di tutte le altre) sono ancora nette e insopportabili.
Eppure, dentro e fuori le Istituzioni, di donne preparate, capaci, in grado di tenere a bada l’attuale massa di politici sull’orlo di una crisi di nervi, certo non di cambiare la carta di parati nelle sale del Quirinale, ce ne sono tante. Perché di loro non si parla? Noi cittadine/i questo vogliamo: fuori i nomi.