“Ho vissuto 22 anni con una spada di Damocle sulla testa, ma alla fine la verità è emersa”.
Il dottor Pier Luigi Zampini, 76 anni, per quasi 20 anni è stato Direttore sanitario dell’ospedale di Tivoli
Il Dottor Pier Luigi Zampini è stato per quasi due decenni Direttore Sanitario dell’ospedale “San Giovanni Evangelista” di Tivoli e nel lontano 2003 venne nominato ad interim Direttore Sanitario dell’ospedale “Santissimo Salvatore” di Palombara Sabina, oggi Casa della Salute e futura Casa di Comunità.
Quell’incarico coincise con una epidemia di legionella tra i pazienti del “Santissimo Gonfalone”: Claudio D. fu stroncato a 68 anni, altri due uomini, uno di Monteflavio e un altro di Montelibretti, furono infettati e trasferiti rispettivamente al San Camillo e al San Giacomo di Roma (CLICCA E LEGGI L’ARTICOLO DI TIBURNO).
Il Tribunale di Tivoli Sezione Civile ha condannato Zampini, la Sezione Lavoro gli ha dato ragione
Per questo nel 2010 il Tribunale Civile di Tivoli condannò il dottor Zampini a risarcire in solido con la Asl Roma 5 gli eredi di Claudio D. per una somma pari a 364.607,76 euro.
Quindici anni di battaglie giudiziarie culminati con la ordinanza della Corte di Cassazione Sezione Lavoro che ha condannato l’Azienda sanitaria a risarcire il dipendente dei soldi versati ai familiari della vittima.
Nato il 28 marzo 1949 a Vicovaro, specializzato come medico chirurgo, Pier Luigi Zampini vanta una carriera da dirigente nel ramo igienico-organizzativo della Sanità iniziata a giugno 1981 come ispettore sanitario presso gli “Spedali Civili di Brescia e terminata nel 2017 come Direttore del settore Accreditamento coi poteri di vigilanza su 158 strutture convenzionate.
L’ospedale “San Giovanni Evangelista” di Tivoli
A Tivoli è ricordato da tutti come Direttore sanitario dell’ospedale “San Giovanni Evangelista”, mentre la parentesi a Palombara Sabina ha segnato quasi due decenni della sua vita professionale e umana.
Ora che l’iter giudiziario è terminato il Dottor Pier Luigi Zampini ha deciso di raccontare la sua disavventura al quotidiano on line Tiburno.Tv.
Quale è stata la sua carriera professionale?
“Ho lavorato come ispettore sanitario per 9 anni all’ospedale di Brescia, all’epoca era il più grande d’Europa con 2300 posti letto, una città dentro la città. Poi dal 1989 ho lavorato come Dirigente Sanitario per 3 anni agli ospedali di Recanati Loreto. Successivamente sono stato nominato Direttore sanitario della ex Asl Roma 25 di Guidonia, Direttore del terzo servizio a Palombara, Direttore Sanitario di Tivoli”.
Fu lei a chiedere la Direzione Sanitaria ad interim dell’ospedale di Palombara Sabina?
La sede della Direzione generale della Asl Roma 5 di Tivoli
“Assolutamente no.
A marzo 2003 ricevetti l’ordine di servizio con il quale la Asl mi nominò Direttore sanitario anche a Palombara e questo è del tutto illegittimo.
Trascorso un mese e mezzo dal mio insediamento, sfortuna volle che morì un paziente di legionella.
Per cui il giudice civile di Tivoli, invece di prendersela con chi da 4 anni prima di me conosceva la situazione della rete idrica e sapeva che qualcosa non funzionava, ha messo in mezzo me che ero appena arrivato e non sapevo niente perché nessuno mi aveva comunicato nulla”.
Nel 2003 all’ospedale di Palombara un paziente morì per la legionella e altri due furono infettati
Ma la Sezione Lavoro dello stesso Tribunale di Tivoli ha ribaltato il verdetto del giudice civile.
“Per fortuna i giudici della Sezione Lavoro hanno detto che intanto io non potevo fare il direttore in due ospedali, ma soprattutto l’ente era obbligato a informarmi che la rete idrica non funzionava e c’erano seri problemi.
Lì i giudici hanno calcato molto la mano e hanno parlato di dolo.
Sa che significa dolo?”.
Che significa?
“Che mi hanno messo in mezzo, che i vertici della Asl si sono detti: se succede qualcosa, ci mettiamo lui che è il più bello, il più bravo, il più titolato.
E purtroppo è successo”.
Cosa ha rappresentato per lei la condanna al risarcimento danni agli eredi del paziente morto di legionella stabilita dal Tribunale civile nel 2010?
“E’ stata devastante”.
Perché?
“Perché io non mi attendevo un verdetto del genere, essendo stato da poco nominato alla direzione dell’ospedale di Palombara.
Non capisco quali responsabilità potessi avere, nessuno mi aveva comunicato da parte dell’azienda che il sistema idrico era fatiscente.
E anche se la situazione mi fosse stata comunicata, non vedo come in un mese e mezzo si potesse sistemare la cosa, perché per rifare tutta la rete idrica bisognava chiudere l’ospedale, come chiarito dall’Azienda in una lettera trasmessa alla Regione il 22 maggio 2003, due settimane dopo il decesso del paziente infettato da legionella. In quella lettera, firmata dal Direttore generale e dal Direttore sanitario aziendale si chiarisce alla Regione che il rifacimento dell’impianto idrico avrebbe comportato la chiusura dell’ospedale: quindi loro erano perfettamente a conoscenza, ma a me quando sono andato lì nessuno ha mai detto nulla”.
Da un punto di vista umano la condanna del 2010 cosa ha rappresentato?
“Una delle doti che mi viene riconosciuta è la tenacia. Per fare il Direttore sanitario bisogna essere tenace e forte, perché è una figura che purtroppo ogni tanto ha responsabilità anche indirette, magari ci sono colpe di altri e in parte vengono attribuite anche a lui.
Io però l’ho superata abbastanza, seppur con grandi difficoltà perché ero certissimo di non aver commesso nessun reato né omissione particolare.
Tra l’altro ero arrivato da un mese e mezzo, cosa avrei potuto fare? Non avrei potuto comunque risolvere.
Ma il punto è un altro: non mi è stato comunicato nulla a riguardo del sistema idrico che è quello che ha cagionato lo sviluppo della legionellosi.
Certo la battaglia è durata 18 anni, lei immagini quante problematiche tra ricorsi, avvocati, giudici delle esecuzioni mobiliari e immobiliari: purtroppo a mie spese ho imparato cosa significasse tutto questo.
A fronte della sentenza civile del 2010 mi sono ritrovato con la casa e il garage pignorati, più un quinto dello stipendio decurtato per risarcire gli eredi del paziente.
Dopo un mese o due dalla sentenza civile del 2010 sono iniziati questi procedimenti a mio carico e sono andati avanti per 4 lunghi anni, almeno fino a quando la causa è trasferita alla Sezione Lavoro, dove ho vinto e la Asl è stata costretta a restituirmi tutto.
Ma sa cosa è successo nel frattempo?”.
Cosa?
“Che nonostante la sentenza del 2010 avesse condannato me e la Asl in solido, in realtà l’Azienda non ha contribuito per nulla, non ha pagato il risarcimento danni per poi rivalersi su di me.
Qui è successo il contrario, tant’è che io ho pagato pure per la Asl. In teoria avrei dovuto risarcire 391 mila euro, per questo mi hanno pignorato casa, garage e stipendio: così per 4 anni ho pagato 70, 80 mila euro ai familiari del paziente, una cifra notevole comprese le spese legali.
Vincendo la causa alla Sezione Lavoro si è bloccato il meccanismo, mi hanno restituito i soldi e ha dovuto pagare la Asl”.
Cosa rappresenta per lei aver vinto la causa?
“Una soddisfazione personale perché ho dovuto combattere contro i mulini a vento, come si suol dire.
Ma la soddisfazione maggiore sa quale è?”.
Quale è?
“Le telefonate di tantissime persone tra cui dipendenti ed ex dipendenti che sono contentissimi perché loro avendo sacrosante ragioni per vari motivi non sono mai riusciti ad ottenere una vittoria.
Avendo fortunatamente una grande stima nell’ambito degli operatori e della popolazione, sono stati contenti anche coloro che pur avendo ragione non hanno potuto spuntarla o per economici, o per motivi fisici, o per motivi mentali: è uno stress mica da poco subire una cosa del genere all’improvviso che non ti aspetti.
Ci vuole quello che ci vuole”.
Chi le è stato vicino in questi anni?
“Soprattutto i familiari”.
E i colleghi?
“Alcuni sì, ma non tutti: ho visto che molti scantonano quando succedono queste cose e si sente parlare di Tribunali e Giustizia”.
A chi deve dire grazie?
“Ai miei avvocati che hanno sempre creduto in me e mi hanno supportato moltissimo.
Purtroppo i tempi della giustizia sono lunghi, ma dobbiamo riconoscere che alla fine di norma i magistrati ci vedono e ci vedono benissimo”.