I tralicci dell’elettrodotto nel giardino condominiale

alla salute. Lo stabilisce la sentenza 7394 emessa dallla Seconda sezione del Tar il 30 novembre 2011 ma pubblicata il 30 agosto scorso. Il Collegio presieduto da Luigi Tosti ha deciso sulla scorta della relazione stilata dall’ingegner Regina Lamedica del Dipartimento di ingegneria astronautica, elettrica ed energetica dell’università “La Sapienza” di Roma che ha praticamente smentito il parere di Arpa Lazio sul quale cittadini e Comune riponevano le loro speranze.
L’elettrodotto – esistente dal 1933 – era stato disalimentato per 5 anni, il tempo necessario alla realizzazione della linea alta velocità Roma-Napoli in modo da evitare sicure interferenze nei lavori. Una volta terminati Rfi aveva pensato di rinnovare la linea nel tratto Salone-Castel Madama, sostituendo la doppia terna su tralicci con una semplice terna su pali tubolari posizionati in corrispondenza dei vecchi tralicci, rispettando la fascia di rispetto asservita dal 1933 all’impianto, allo stesso voltaggio di 66 kw e senza variante al tracciato originario.
Fatto sta che quando nel 2005 Rfi depositò il progetto di pubblica utilità a Palazzo San Bernardino, l’amministrazione non sollevò dubbi mentre numerosi residenti di via del Barco – sospettando un possibile inquinamento elettromagnetico – proposero l’interramento dei cavi almeno nei tratti vicini alle abitazioni. Così tra proteste e richieste di modifiche, nel 2008 il progetto finì al vaglio di Arpa Lazio che il 18 settembre 2009 sembrò definitivamente tagliare la testa al toro. I tecnici dell’Agenzia regionale per la prevenzione ambientale ritennero l’intervento di Rfi un’opera nuova che per le esposizioni della popolazione ai campi elettrici e magnetici avrebbe dovuto sottostare ai dettami del Dpcm 8 luglio 2003. Il consulente del Tar è stato di diverso avviso. Secondo l’ingegner Lamedica, infatti, i lavori da eseguirsi a 66 chilowatt sono sostanzialmente quelli classificati come interventi di manutenzione su elettrodotti esistenti dall’articolo 1 della legge 290 del 2003. Insomma, i lavori di Rfi costituiscono il ripristino dell’impianto degli anni Trenta e non un nuovo elettrodotto come sosteneva Arpa Lazio nel parere assunto dal comune a presupposto della seconda diffida. Pertanto non c’era bisogno di alcuna autorizzazione, semmai di una semplice Dia. Per il consulente inoltre l’elettrodotto non costituirebbe alcun pericolo per i residenti, visto che vengono rispettate le distante minime stabilite dalla norma Cei En 50343-1 pubblicata nel luglio 2007, contrariamente a quanto sostenuto da Arpa. Tra l’altro – fanno notare i giudici – questo aspetto è stato accuratamente valutato anche attraverso un sopralluogo, al quale hanno partecipato i tecnici del Comune. Senza contare che l’esposizione ai campi elettromagnetici della popolazione rientra nei limiti di compatibilità garantiti dal Decreto del ministero dell’Ambiente 29 maggio 2008, unica normativa di riferimento trattandosi di un impianto con una tensione inferiore ai 100 kw.
Al Comune non resta che pagare 1.750 euro, metà della parcella del Ctu.

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