TIVOLI – Neonato sparito dall’obitorio, scagionati i necrofori

I tre addetti alla Morgue indagati per falso e simulazione di reato, ma non più per distruzione di cadavere. La nonna del bimbo: “Assurdo, mio nipote non è volato via”

Il corpicino non è stato più ritrovato per cui i familiari non avranno mai una tomba dove piangerlo. Un responsabile non avrà mai un nome e un volto.
Finisce così il caso giudiziario di Roberto Preda, il bimbo nato morto a giugno dell’anno scorso e poi sparito dalla Camera mortuaria dell’ospedale “San Giovanni Evangelista”di Tivoli.
Il pubblico ministero Lelia Di Domenico ha infatti chiuso le indagini preliminari nei confronti dei tre addetti della Morgue che oggi si ritrovano indagati per due ipotesi di reato, ma non più per concorso nella soppressione e distruzione di cadavere, come ipotizzato all’inizio dell’inchiesta condotta dai carabinieri.
A N. D., 63enne di Gerano, G. P., 61enne di Sambuci, e C. V., 60enne anche lui di Gerano, il pubblico ministero contesta il concorso nella simulazione di reato, mentre al primo dei tre addetti viene addebitata anche l’ipotesi di falso ideologico in atto pubblico.
I tre si sarebbero alternati a turno tra il 4 giugno, il giorno in cui il piccolo Roberto nacque senza vita e fu trasferito dal reparto di Ostetricia e Ginecologia alla Camera mortuaria, e il 20 giugno, quando cioè la famiglia scoprì che la sua salma non c’era più nella cella frigorifera.
Per questo gli investigatori ipotizzarono fin da subito che la sparizione del feto fosse responsabilità esclusiva degli addetti, una responsabilità dolosa, punita dal Codice penale con una reclusione da due a sette anni di carcere.
Una responsabilità difficile da dimostrare, considerato che la Morgue di Tivoli non è dotata di un impianto di videosorveglianza interna né esterna in grado di accertare il giorno della scomparsa e soprattutto l’autore.
All’esito dei rilievi effettuati dai carabinieri della Compagnia di Tivoli diretta dal capitano Marco Beraldo e dai militari del Ris di Roma, la Procura ha dedotto che nessun estraneo sia mai entrato all’interno della Camera mortuaria per prelevare il piccolo Roberto e farlo sparire. Ma non ha acquisito neppure elementi utili a inchiodare i tre addetti.
L’ipotesi di simulazione di reato viene contestato sulla base della nota protocollo 2432 che i tre il 20 giugno 2019 sottoscrissero ed inviarono tramite Pec al Direttore Sanitario dell’ospedale segnalando la manomissione della porta che collega la Camera mortuaria al Reparto di Osservazione Breve del pronto soccorso di Tivoli.
Una manomissione falsa, secondo il pubblico ministero, almeno per come è raccontata. A scoprirla domenica 16 giugno sarebbe stato C. V. che a fine turno avrebbe lasciato un appunto per il collega N. D., il quale l’indomani – lunedì 17 giugno – avrebbe segnalato soltanto verbalmente all’Ufficio tecnico che la porta non si chiudeva.
Fatto sta che il malfunzionamento fu comunicato ufficialmente 72 ore dopo, proprio nello stesso giorno in cui la famiglia di Roberto scoprì che il corpicino non era più in cella frigorifera.
Il solo N. D. rischia il processo anche per falso ideologico. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, infatti, c’era lui di turno l’8 giugno, il giorno in cui la salma di Roberto fu riportata a Tivoli dall’ospedale di Tor Vergata dove fu sottoposta all’autopsia. A parere del pubblico ministero Lelia Di Domenico, N. D. sul registro salme scrisse che il feretro del neonato tornò alle ore 18, mentre in realtà era rientrato alla Morgue del “San Giovanni Evangelista” tra le 8 e le 10,30 del mattino.
N. D., assistito dall’avvocato Pericle Calvaresi di Monterotondo, ha reso dichiarazioni spontanee davanti agli inquirenti, mentre si sono sottoposti ad interrogatorio sia G. P. che C. V., entrambi difesi dall’avvocato Enrico Maria Gallinaro.
Spetterà al giudice per le indagini preliminari valutare se ci siano gli elementi o meno per processare i tre addetti alla Camera mortuaria.

GLI AVVOCATI: “La porta era difettosa. Non c’era motivo di falsificare gli orari”

“L’ipotesi di reato più grave è decaduta, per questo non si sostengono neppure le altre due fattispecie contestate”.
E’ in sintesi l’opinione di Enrico Maria Gallinaro e Pericle Calvaresi, legali dei tre indagati per la sparizione del piccolo Roberto Preda.
“Relativamente al reato piu grave tra quelli contestati, ovvero la distruzione del cadavere del povero bambino la Procura ha preso atto che, a prescindere da qualunque tipo di responsabilità che a mio avviso non può appartenere agli indagati, sono assenti in atti elementi capaci di giustificare la prosecuzione del procedimento”, premette Gallinaro, noto penalista balzato alle cronache nazionali come legale di parte civile nella scomparsa di Roberta Ragusa, difensore in questo caso di G. P. e C. V.
“Tutto questo – prosegue – è sicuramente motivo di grande soddisfazione per chi fin da subito, come il sottoscritto, è stato convinto che non vi fosse il reato contestato.
Relativamente poi alla simulazione di reato che rimane ad oggi ascritto ai miei assistiti ritengo che questo non solo non sussista ma non possa neanche essere contestato
Ciò per due ordini di motivi. Risulta in atti che la porta in realtà non si chiudeva, nonostante il sottoscritto abbia fatto istanza di sequestrarla ciò non è stato possibile e pertanto ad oggi non sembra neanche verificabile la manomissione.
Ma il fatto più importante è questo. L’ipotetico reato che si assume essere stato simulato parrebbe essere oramai non più previsto come tale.
In realtà si presume che gli indagati abbiano simulato la manomissione quindi il danneggiamento della porta, ma tale condotta per essere reato deve essere accompagnata dalla violenza alla persona o con minaccia, così come ben esplicitato dall’articolo 635 del Codice penale già riformato in tal senso da qualche anno.
In sostanza, a mio avviso agli indagati è contestato di aver simulato un fatto reato (cioè il danneggiamento) che non è più previsto dalla legge come reato poiché privo di quelle ulteriori circostanze che ad oggi consentono di poterlo contestare”.
A Gallinaro fa eco Pericle Calvaresi, legale di N. D. che ha presentato memorie difensive.
“Quello che la Procura definisce il registro delle salme – premette Calvaresi – è in realtà una specie di brogliaccio, un insieme di fogli unti e bisunti senza timbri né firme all’interno del quale veniva annotato l’elenco dei deceduti in giacenza all’interno della cella frigorifera.
Quindi non era un atto pubblico, tant’è vero che dopo la sparizione del neonato l’Azienda sanitaria ha dotato la Morgue di un registro vero”.
Perché registrare il ritorno della salma il pomeriggio anziché la mattina? “Il mio assistito non ha registrato un orario falso e lo dimostreremo citando come testimone l’agenzia funebre.
Quando alla presunta simulazione di manomissione, va detto che la porta non si apriva bene e il falegname l’ha soltanto rimessa a posto”.

LA NONNA DEL NEONATO: “Decisione assurda, mio nipote non ha messo le ali ed è volato via”

“Che senso ha processarli per simulazione di reato e falso in atto pubblico, ma non per la sparizione del bambino? E’ un’assurdità”.
Catiuscia Fanelli, 47 anni, è la mamma di Melissa Bernardini e la nonna di Roberto, il bimbo nato morto all’ospedale di Tivoli e scomparso dalla cella frigo dell’obitorio.
La donna, tiburtina doc, trapiantata a San Polo dei Cavalieri, apprende con sorpresa da Tiburno la chiusura delle indagini preliminari con due soli capi d’incolpazione.
“Nessun indagato per la sparizione del bambino? Mio nipote ha messo le ali e se n’è andato da solo?”, si interroga Catiuscia che da un anno accompagna la figlia maggiore in tutte le tappe di quest’incubo destinato a terminare con un nulla di fatto e con l’eterno mistero sulla fine di quel bimbo bello come il sole che pesava due chili e 600 grammi.
“I tre addetti alla Camera mortuaria hanno testimoniato di averlo messo nella cella frigorifera. E allora dove è andato? Chi lo ha preso? Io non l’ho preso, tant’è che neppure il funerale abbiamo potuto fare.
Nei rifiuti non c’è, nella biancheria nemmeno: ci diano una spiegazione”.
A questo punto che farete?
“Mia figlia ha nominato un avvocato, ma a causa del Covid non è potuto andare avanti perché gli uffici del Tribunale erano chiusi”.
Crede nella Giustizia?
“Come faccio a crederci? Non si può processare una persona per simulazione di reato e falso, ma non per la sparizione di un corpo: mio nipote non era un barattoletto, era una creatura di due chili e seicento grammi, il bambino era formato e nato di nove mesi”.
Cosa si aspettava?
“Che li processassero per la sparizione perché lì è scomparso Roberto, non nella sala parto né in un’altra parte”.
Mi aspettavo una giusta verità perché a mia figlia che è la mamma hanno arrecato un triplo dolore. Il primo il 4 giugno quando il bimbo è nato e purtroppo non c’è stato nulla da fare. Il secondo il 20 giugno con la sparizione. Il terzo all’idea quotidiana che sia stato buttato nei rifiuti speciali. Ora anche il dolore per una mancata Giustizia”.
Evidentemente non ci sono le prove per processare gli addetti alla Camera mortuaria.
“Se i tre rimangono impuniti per la sparizione mi pare assurdo e le spiego perché.
Martedì 18 giugno ricevetti una telefonata dai Servizi sociali del Comune di Tivoli per avere informazioni perché al funerale avrebbero provveduto loro.
Risposi che non sapevamo ancora nulla e poco dopo ricevetti un’altra telefonata, stavolta dalla camera mortuaria: era G. P. a comunicarmi che il bimbo era nella cella frigorifero dall’8 giugno.
Il 20 giugno passammo dall’assistente sociale per organizzare il funerale, lei chiamò la camera mortuaria per mandare le pompe funebri ma in quel caso le fu detto che il bimbo non era più nelle celle frigorifere”.
Per cui io, mia figlia Melissa, il compagno e i due bambini, accorremmo in camera mortuaria a chiedere spiegazioni, c’erano N. D. e G. P., subito dopo arrivò pure C. V., l’addetto che il 4 giugno trasportò il corpicino dalla sala parto in camera mortuaria.
In due giorni Roberto dove è andato? Chi lo ha preso se il 18 giugno ci avevano confermato che c’era?”.
Chiederete un risarcimento danni alla Asl?
“Io li chiederei su tutto, di questo si interesserà il legale, tanto più che la Asl non si è degnata nemmeno di fare una telefonata e dire: ci dispiace per l’accaduto.
Invece non abbiamo proprio sentito nessuno.
Fatto sta che non sappiamo dove piangerci il bambino: lo abbiamo visto è stato il 4 giugno, quando è nato, poi non lo abbiamo visto più.
A febbraio è morto mio padre e quando vado al cimitero metto un fiore in più sulla sua tomba perché è come se lì ci fosse anche Robertino.
Chi ha sbagliato deve pagare, non stiamo parlando di un pezzo di carta o di un pacchetto di fazzoletti: se la Giustizia esiste veramente deve essere fatta”.

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