Sassi contro i cani della vicina, inchiodato dalla telecamera: condannato

La Cassazione legittima le immagini dell’impianto di videosorveglianza con un raggio d’azione eccessivo

Le immagini di lui che lancia i sassi contro gli animali erano l’unica prova per incastrarlo e lui si è appellato alla legge sulla privacy nel tentativo di invalidarle.

Ma non c’è riservatezza che tenga rispetto all’esigenza di acquisizione probatoria del processo penale.

Così la Corte di Cassazione ha confermato la responsabilità nei confronti di Giuseppe M., un 73enne di Ghedi in provincia di Brescia, giudicato colpevole del tentativo di fare del male ai cani di una vicina di casa e condannato a risarcire un danno pari a 2.340 euro.

Il pensionato aveva lanciato sassi dalla strada contro i cani che erano sul balcone della donna, forse convinto di farla franca. Ma il 73enne non aveva fatto i conti con l’impianto di video-sorveglianza installato dalla vicina proprio a tutela dei suoi ‘quattrozampe’. E quelle immagini erano state allegate dalla donna nella denuncia al pensionato, come unica prova della sua responsabilità.

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Secondo quanto riporta l’Agenzia Ansa, la Cassazione ha respinto la tesi difensiva che ha sostenuto che non erano utilizzabili nel processo “le immagini degli impianti di videosorveglianza privata installati illegittimamente” in quanto, a suo dire, erano troppo invasive della privacy altrui.

Secondo gli ‘ermellini’ “le riprese video allegate alla denuncia-querela non sono soggette alla disciplina delle intercettazioni e costituiscono invece prove documentali legittimamente acquisibili, mentre la tutela della riservatezza non è assoluta, ma sub-valente rispetto all’esigenza di acquisizione probatoria del processo penale”.

Insomma, hanno validità i filmati delle telecamere private, anche quelle con un raggio d’azione ‘eccessivo’.

La Cassazione ha inoltre ribadito che, anche se i cani non sono stati colpiti, per dar luogo all’indennizzo è “sufficiente l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e dell’esistenza di un nesso di causalità tra questo e il pregiudizio lamentato, desumibile anche presuntivamente”.

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