Chi taglierà il traguardo finale del vaccino?

Ieri, 8 dicembre, mentre nel Regno Unito si effettuavano i primi vaccini con gran cassa di tutti i notiziari mondiali, in contemporanea negli Stati Uniti la Fda davano il loro placet al vaccino prodotto dalla Pfizer (non Pfitzer come molti ancora si ostinano a scrivere). C’è da chiedersi il motivo del ritardo dell’Unione Europea ascrivibile esclusivamente a un sistema regolatorio più rigido, vincolistico, legato a modello di garanzia che salvaguardi le verifiche di ciascuno dei paesi contraenti. Ma oramai è anche chiaro che la competizione mondiale tra sistemi di funzionamento degli stati e livelli evolutivi tecnologici si basa sul confronto sugli standard di evoluzione dei risultati in tema di cura della salute. Questo però non significa salvaguardia e diffusione dei livelli di assistenza nel modello sanitario. L’importante è arrivare primi. Tagliare il traguardo. Come fossimo a una gara sportiva. Anche lì, non si tratta solo dello sportivo che viene insignito del primato, ma di tutto un entourage e di un livello di assistenza che il sistema-paese gli è riuscito a garantire per arrivare primo. Tornando alla competizione sui raggiungimenti in termini di cura della salute, l’illusione poggia anche sul fatto che rappresenta un momento di avanzamento il fatto che la rivalità abbia come oggetto la Sanità piuttosto che l’inutile raggiungimento del suolo lunare. O peggio ancora la Guerra Fredda ove misurarsi in altri campi sul piano esplicito delle armi. Ed è senz’altro così. Se non che la novità dei nostri giorni non è sul campo di competizione ma sul motivo della competizione. Un tempo l’accesa rivalità era dettata dai modelli di società che dividevano il mondo: capitalismo contro comunismo o viceversa. Ma oggi chi compete per cosa compete? Sui gradi e i livelli di liberismo nelle rispettive economie? Non ha senso visto ha la gara ripropone l’identico modello globalizzato in cui a dare le carte sono i colossi finanziario-industriali sovranazionali! La risposta la potremmo trovare nel monologo che Gigi Proietti fa alla fine del film Febbre da Cavallo spiega la fenomenologia dello scommettitore che gioca tutto sé stesso per dire alla fine: “ho vinto!”
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