Con l’energia la fine della “tutela”

Grande inquietudine sul cambio di regime che avrebbe dovuto arrivare prima ed è fisiologico per l’economia

Gli italiani preferiscono il “mercato protetto” ma non si rendono conto quanto costa questa protezione. Costa un grave vincolo per la loro libertà. E la propaganda che ha imposto una cappa protettiva durerà ancora, senza nessuno a dire esplicitamente che se le bollette aumenteranno non sarà per la transizione del mercato. La nuova condizione di pagatori che tutti conosceremo nelle nostre utenze domestiche sull’energia crea allarme e fiacche rassicurazioni, ma non si può tornare indietro. Il tutto parte da un inganno espressivo: la dizione “maggior tutela“. Si tratta invece di una riforma che quantomeno amplierà le opportunità di scelta dei consumatori.

Ma l’esitazione è dilagante. Questa è dovuta gran parte a due grandi questioni. La prima, culturale. La seconda, linguistica. La ragione culturale deriva da un’antica mentalità statalista presente nella mente vivida degli italiani. Si ritiene che un ente collettivo al di sopra di ciascuno di noi sia meglio di ciascuno di noi e possa provvedere alla tutela di noi ultimi. (Ci sono miriade di esempi che attestano il contrario: misure sempre in difesa dei grandi soggetti della finanza, capacità di far sopravvivere le grandi imprese parassitarie e non sostenere la piccola impresa che ce l’ha fatta da sola … ).

Il secondo esempio è lessicologico. Disorienta l’espressione proposta e che si è affermata: “di maggior tutela”. Maggior tutela per chi? Siamo sicuri che sia proprio il consumatore?

È innegabile ci sia una resistenza in questo passaggio. Deriva dal fatto che c’è interesse a difendere quel ruolo che è nato come transitorio. Eppure è diventato irrinunciabile! Si parla dell’ex monopolista. Con un’espressione usata in questi casi, c’è chi “ha in pancia” circa l’ottantacinque per cento dei consumatori, cosiddetti “tutelati”. In tal senso esiste l’acquirente unico. Ha in autentico possesso i clienti e su questo si è creato l’identità di erogatore assoluto.

Chiaramente qui c’è anche un atteggiamento medio del consumatore che davanti a tanti problemi vuole gli sia erogato il fondamentale servizio elettrico e non vuole altri problemi.

Ma il problema è che su questo riflusso alla certezza inesistente in natura economica – e anche nella natura propriamente detta – c’è chi ha basato la più aggressiva e prolungata azione di lobbying contro la liberalizzazione. Doveva essere un regime transitorio. Non lo è stato. Non poteva esserlo se chi lo gestiva avrebbe recepito un immeritato vantaggio. L’enunciata transitorietà del sistema di erogazione dell’energia avrebbe dovuto preludere al mercato. Come in tutti i generi merceologici. I piccoli consumatori dovevano semplicemente essere condotti a questa nuova realtà. E invece si è scelta la lusinga dell’esser messi sotto protezione. Difficile, quindi, convincere sul fatto che uscire da questa protezione, dal cosiddetto “mercato protetto” sarebbe stato un vantaggio per tutti: dagli erogatori ai consumatori. Doveva essere un percorso iniziato dal 1999. Sotto il profilo culturale siamo ancora in alto mare.

Altro discorso, ma anche più potente, è sul gas. Ma quella è un’altra puntata.

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