Ancora su Proietti come Cesare

Riceviamo e pubblichiamo da Angelo Nardi

Antefatto

Sorpreso della sorpresa. Mi pare di aver evidenziato quel che è fin troppo evidente e di cui a Tivoli tutti parlano. Queste riflessioni di fine estate sono nate nei miei ozi, empi di cattive letture e forse di un’indigestione di tranquillità.

Me ne stavo in vacanza a Pescasseroli, che per me consiste in una liturgia laica, per cui ogni anno, mi reco in visita presso la casa del padre del pensiero libero italiano: Benedetto Croce. L’uomo che resistette al fascismo e che il fascismo non osò, per così dire, “mettere sotto controllo”.

Mi chiedo ancora: come posso piccarmi di essere suo indiretto allievo? Cosa ho fatto io per sentirmi parte del pensiero libero? Sopravvissuto alle ideologie degli anni Settanta e all’edonismo degli anni Ottanta, avendo abbracciato l’insano mestiere del cronista, avendo la pretesa di raccontare i nostri giorni più come uno storico che come un gazzettiere, qual è il mio apporto per l’affermazione delle libertà?

Sì, perché il pensiero unico che obbliga a pensare in un solo modo, nel terzo millennio non arriva con colpi di stato militare, come nella prima metà del Novecento. Non arriva nemmeno in forma consapevole. Ci accorgeremo, o qualcuno ci dirà un giorno, che le nostre liti sui destini sono di condominio. Che si è perso il senso dell’utopia. E senza utopia, non c’è pensiero, non c’è politica.

E mi pareva che proprio a palazzo Sipari dove dimorava la famiglia di Benedetto Croce, il grande filosofo stesse lì a chiedermi: “E tu? Cosa hai fatto per impedire che il mondo della tecnica creasse una nuova dittatura, pur con parlamento, pur con dibattiti inutili e contese in televisione?”

E allora ho pensato che anche io debbo dare il mio apporto, smettendola di lamentarmi e accettando l’esistente come unica versione possibile.

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Dal saggio all’articolo

 

La premessa serve per dire che il caso Proietti a Tivoli deve essere analizzato come un aspetto emblematico dei nostri tempi. Come Cesare, Proietti arriva al massimo scranno della sua città perché non ha rivali. La cui classe dirigente non può continuare a seguire le querelle dei due opposti schieramenti, tesi solo a rinfacciarsi il passato, senza prospettive, ma soprattutto senza un’idea sul come dare riassetto all’organizzazione generale e alle casse del Comune.

Proietti è l’uomo che ha dimestichezza col potere. E a Tivoli serve un uomo che sappia guardare i nuovi tempi, un uomo che sappia creare rapporti, relazioni utili con le più alte istituzioni, anche al di fuori della città. E questo è Proietti. Un uomo che viaggia qualche spanna al di sopra di un dibattito avvitato su contumelie paesane.

(E anche Cesare, uscito vincitore dalla campagna di Gallia e dal triumvirato che continuava ad esacerbare la stabilità dell’antica Roma, marcava questa distanza siderale dal resto del Senato e dai cospiratori, oltre che dal suo stesso luogotenente, Marco Antonio, che provò a prenderne le mosse).

Ma come per Cesare, Proietti capisce perfettamente che le forme di governo della città non possono ossequiare quelle divisioni di potere con le quali ogni categoria ha il suo spazio: la plebe, i patrizi, il Senato, la Curia, l’esercito, nella Roma di Cesare; il Consiglio comunale, la giunta, la struttura dell’amministrazione comunale, i sindacati per Giuseppe Proietti sono organizzazioni ormai superate che impediscono scelte decisionali che ritardano i tempi delle scelte amministrative per una efficace gestione (anche di tipo privatistico) della città.

E allora, come nella Roma di Cesare esistevano i proconsoli che facevano riferimento esclusivamente a Cesare, Proietti inventa una modalità fortemente decisionistica in cui in ogni comparto indica un suo delegato in modo che faccia riferimento esclusivamente al Sindaco.

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È un modo questo di tenere strettamente sotto controllo ogni segmento della burocrazia, di decidere nei tempi giusti, di avere il controllo in ogni momento della situazione. Una tecnica che rende sicuramente più veloce il tempo delle decisioni.

Ma dall’altra parte l’effetto che si è ottenuto in questi sei anni consiste nella venuta meno delle garanzie della democrazia rappresentativa dove ciascuno è portatore di interessi legittimi e ambasciatore di istanze reali della città. Il meccanismo instaurato da Proietti è non solo in sintonia coi tempi, in cui il civismo ha aperto una voragine tra le forze politiche di derivazione consolidata, ma anche più avanzato rispetto allo scenario nazionale e a quanto è accaduto in altre realtà comunali.

Questo perché la soluzione del civismo, come opzione assoluta per la città, a danno sia del centrodestra che del centrosinistra, assume caratteri ancora più rilevanti che altrove. Lo stile Proietti, proprio per la qualità assoluta del personaggio, rischia di tradursi in un annichilimento della democrazia.

Quindi i rappresentanti di un sistema democratico, ancora in piedi, debbono fare di tutto per rovesciare questo stato di cose. Non possono vivacchiare con la convinzione che passi la notte e con le nuove consultazioni elettorali possano riproporre il loro teatrino del centrodestra e del centrosinistra.

Debbono riuscire a dimostrare di essere migliori del dittatore democratico che al momento sovrasta tutti, rovesciandone il gioco e portando allo scioglimento anticipato del Consiglio comunale.

Solo così potranno ripresentarsi agli elettori con la tranquillità di aver espletato un ruolo per la città, quello della tenuta della democrazia rappresentativa.

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