Il dispositivo di sicurezza non ha funzionato
Il bimbo di cinque anni non ha retto l’urto dello schianto della funivia, inghiottita nel pendio della montagna di Stresa Mottarone.
Il penoso annuncio è stato dato dai sanitari ai familiari del bambino, immersi nel dolore. Sono dunque 14 le vittime del disastro.
Cinque le famiglie coinvolte, stipate dentro una cabina che ha trasformato una gita di libertà e di piacere in una sofferenza difficile da descrivere. Altrettanto arduo è raccontare le storie umane di genitori sereni, di coppie di fidanzati in attesa di sposarsi o la gioia di bimbi per un’avventura sospesa fra cielo e terra diventata poi tragedia.
C’è ancora chi sta lottando per la sopravvivenza, un altro bambino per il quale saranno decisive le prossime 24 ore, e chi si è salvato perché respinto dagli addetti agli impianti per il rispetto delle regole anti covid sul distanziamento.
La notizia dell’accaduto è finita sulle prime pagine dei quotidiani di mezzo mondo e su tutti i social. La commozione non si consuma con facilità ma, nel dolore, si moltiplicano le indagini per accertare cause e responsabilità della rottura del cavo di sostegno della cabina.
Non ci sono fatalità, come non esiste un destino segnato. I primi soccorritori che sono entrati in quell’inferno di rottami e corpi straziati, hanno tratto in salvo un turista, seppure seriamente ferito.
Sarà il testimone chiave per un racconto atroce che dovrà in parte spiegare l’accaduto. I primi accertamenti hanno stabilito che non ha funzionato il sistema di sicurezza, ma l’azienda addetta alla manutenzione ha dichiarato di aver verificato nel 2020 l’efficacia dei cavi. Sarebbero dovuti durare almeno altri otto anni. Il compito di valutare le cause spetta ora i periti e magistrati.