Con Atreiu come modello … il 2024 di Giorgia

Piaccia o no il personaggio ha superato il ruolo di Presidente del Consiglio ma sempre più ci si chiede quanto dura questa corsa

Meloni si è caratterizzata subito come personaggio.

Piccolo, forse inizialmente insignificante. Il modo che Berlusconi aveva di dimostrare quanto aveva in attenzione i giovani ed un espediente per mediare con una componente di Alleanza Nazionale.  Venti anni fa Giorgia infatti apparteneva allo zoccolo duro rappresentato da ben altri: Giuseppe Tatarella, Ignazio Larussa, Maurizio Gasparri, Fabio Rampelli … Erano quelli della corrente di Destra Protagonista.

Succedono tanti fatti. Liti, diaspore a destra, il segretario defenestrato che tenta un’avventura tutta sua senza successo. Gianfranco Fini era il classico illuso del nostro panorama politico. Convinto che tante simpatie degli italiani e delle italiane fossero dovute alla sua persona. Gradualmente ha perso di vista quello che rappresentava. Una componente del nostro paese che non ci stava a un giudizio liquidatorio sul fascismo e che continuava a vedere con preoccupazione le tendenze progressiste e globaliste prossime a diventare prevalenti. Il richiamo alla tradizione, quindi, ad un senso di conservazione derivato dalla lettura di Prezzolini che non si preoccupava di essere tacciato come “conservatore”: significava per il fondatore del giornale La Voce tenere ben saldi quegli aspetti identitari in grado di avere una visione del mondo altrimenti sovrapposto di suggestioni intermittenti e sempre varie.

Una destra che non rinunciava ai suoi culti. Gandalf, Il Signore degli Anelli, l’Hobbit … E altri personaggi nati dalla fantasia di autori come Tolkien che hanno dato stesura in letteratura alla “volontà di potenza” nietzscheana in grado di dare una visione al mondo. La propria, quella di un’evoluzione creatrice, di chi non si accontenta della spiegazione materialistica delle cose. Tra questi personaggi sognatori c’è anche Atreiu da La Storia Infinita. E a lui è dedicata la rassegna culturale annuale del partito Fratelli d’Italia.

Tutto questo c’era dentro la componente di Destra Protagonista. Tesa a ritagliarsi una nicchia di sapore giovanilistico (anche se non tutti erano giovani, in testa a tutti Tatarella), Destra Protagonista era una vera e propria enclave, un partito nel partito. Non dialogavano gran che con gli altri. Chiedevano il loro per la loro componente. Non si sognavano però di andare da Berlusconi in trattativa privata. La gamba destra del partito doveva esser rappresentata da Fini e solo da lui.

Cataclisma nel partito. Poi cataclisma nel centrodestra. Il Caimano tenta un’operazione di agglutinazione: federare in un grande partito le diverse anime della reazione al centrosinistra per dimostrare ancor più di essere maggioranza stabile.

Alcuni entrano altri no. Di fatto è qui che quella componente, quello zoccolo duro, la Destra Protagonista, diventa partito nel 2012 dopo un primo ingresso nel Partito delle Libertà di Berlusconi. Nel frattempo i grandi personaggi di un tempo saltano: Tatarella muore (1999), Gasparri va in Forza Italia (2013), Fabio Rampelli capogruppo alla Camera, capitaneggia il voto contrario al governo Monti (2012). Anche Ignazio Benito Maria La Russa dopo il passaggio nel Pdl torna all’ovile con Fratelli d’Italia. Arruolano anche Guido Crosetto che veniva da esperienza strettamente berlusconiana.

E Giorgia? Giorgia tiene il punto. Non sbaglia un intervento. Soprattutto quando eccede ed è fuori luogo. Criticata dal mondo radical-chic e moderato (post-dc, post-socialista e post-comunista), lei resta anche alla sarcastica versione di “io sono Giorgia, sono italiana, sono una mamma, sono cattolica” … Asserzioni di identità in un paese attraversato dalle crisi economiche che hanno fatto perdere il ruolo del ceto medio e in cui si presenta il fenomeno dell’immigrazione come normalità oramai acquisita e inquietante. I più estremisti parlano di “sostituzione etnica”. Giorgia non è tra questi. Ma da questi riesce ad essere apprezzata.

Nella data eclatante dell’8 marzo, viene eletta presidente del partito di Fratelli d’Italia. È il 2018. Tutti pensano sia un contentino. Una prova di propaganda per dimostrare quanto la destra stia più avanti avendo eletto una donna, ma proprio come donna in un partito di destra “conti meno del cane”. È l’espressione underdog che ha spolverato il giorno del primo discorso alla Camera dove è avvenuta l’investitura ufficiale dal presidente del Consiglio.

Un risultato conseguito sulla base di suoi limiti dialettici che in un’età di crisi sono riusciti a diventare vincenti. Vivendo una fase di crisi di prospettive ideali – con quello stesso senso della fine di un’età storica descritto da Osvald Spengler (Il Tramonto dell’Occidente) e delineato per i tratti economicistici da Eric Hobsbawn (Il Secolo breve 1914-1991) – Giorgia incarna la volontà di puntare i piedi sul senso di identità, sul sostenimento delle proprie tradizioni e sul far perno sulla propria forza. E anche se dire questo comporta fare delle gaffe sulle quali gli umoristi giocheranno per tanto tempo, riesce ad essere rafforzata da tanta irrisione. Lei sa quello che vuole.

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Non lo sa Matteo Salvini che dopo una campagna elettorale contro si allea con il Movimento Cinque Stelle per fare il governo e venirne liquidato nell’agosto del 2019. Non lo sa Berlusconi che subito accorre al richiamo di Mario Draghi per il governo europeista che deve gestire i fondi del PNRR. La Lega anche corre a sostegno dei più forti. C’è da gestire risorse mai viste prima.

Lei no. Lei sta sul punto. E con lei va detto, tutto il partito che in fase di irrequietezze da pandemia e di malessere generale per la crisi sempre presente in forme nuove, raccoglie tutto quanto può essere raccolto per essere contro. L’unica!

Dall’altra parte dell’emiciclo parlamentare non riesce la stessa operazione alla Sinistra ecologista. Troppo incatenati dal cosiddetto senso di responsabilità e da una palude istituzionalista di cui oramai la parte progressista è imbalsamata.

Non concorre all’elezione del nuovo Presidente. Non si carica di nessuna delle responsabilità chieste dalla crisi presente in ogni dove: modello Europa, sanità, inflazione, svendita di parti del comparto industriale che trova altre destinazioni.

Le elezioni del 25 settembre 2022 sono un regalo per il centrodestra: il centrosinistra non c’è, è diviso. Neanche i liberali renziani e calendiani riescono a concordare una linea con gli altri. Tre pezzi separati nel centrosinistra. Tre pezzi che ugualmente sono ben distanti nel centrodestra. Però loro la coalizione la fanno. Lega e Forza Italia sono forti dell’alleanza con Draghi col quale hanno governato. Fratelli d’Italia ha la forza solo del consenso. E infatti ce l’ha. È confermato.

Ora chi pensava di assorbire la pulzella d’Orleans de noantri si sbaglia di grosso. Si sbaglia Berlusconi che si aspettava riconoscenza dal “personaggetto” che lui aveva inventato in quella ex piccola donna. Si sbaglia Salvini se contava di prendere anche un voto in più.

Piccole donne crescono. E Giorgia è cresciuta. Ai microfoni dell’intervistatore, uscendo da un incontro con Berlusconi, dice seccamente: “io non sono ricattabile”. Indica così chiaramente il costume del ricatto col quale si svolge ogni trattativa. Denuncia una pressione eccessiva nei suoi confronti. Evidenzia un clima conflittuale proprio alla vigilia della nascita del governo che però non è stato ancora formato. Esprime un “gran rifiuto” nei confronti dei metodi finora invalsi. Proclama sé stessa al di fuori di questa congerie di piccoli uomini della politica. Ed è il trionfo.

In quindici mesi le occasioni per scivolare in credibilità ce ne sono e molte. Non si mostra sufficientemente risoluta coi suoi ministri che brillano in cadute di stile. Montarulli che fa la cresta sulla spesa per i giornali, Lollobrigida che fa fermare il treno perché ha un appuntamento politico, Santanchè che non risolve alcun problema del turismo in Italia e si scopre come imprenditrice bancarottiera e che non paga gli stipendi al personale.

Giorgia non dà una svolta alla programmazione economica: firma un bilancio sotto dimensionato dove non si prevedono risorse sulla Sanità. Il suo governo appare in affanno nelle procedure per ottenere i soldi per il PNRR. Ma in effetti anche la macchina messa in piedi da Draghi per l’ottenimento pratico dei fondi ottiene risultati scarsi. Lei non ha il coraggio di scaricarla sul “Grande Mario”. Anzi, le esce una battuta ficcante sull’evitare photo-opportunity ma poi si scusa con l’ex presidente della Bce dicendo che non voleva offenderlo. Aveva svolto una campagna elettorale anti-europeista ma è colei che applica alla lettera la cosiddetta “Agenda Draghi”. In sostanza, una cosa ben diversa dalla passionaria dei suoi discorsi per tanti anni.

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Ma gli elementi del flop sostanziale del suo governo si vedono nel fatto che la Riforma della Giustizia procede a passi lentissimi, anzi forse è arenata. A un binario morto è la Sanità che, di fatto, vedrà diminuite le sue risorse per via dell’inflazione.

Nondimeno non manca di guerreggiare a parole quando capita occasione. Lì si dimentica di essere Presidente del Consiglio. Lì torna ad essere la Giorgia che il suo elettorato vuole sentire.

Così facendo riesce nel miracolo. Nella storia italiana del secondo dopoguerra ogni coalizione ha perso in termini elettorali una volta entrata a Palazzo Chigi. Con Giorgia Meloni tutti i sondaggi non solo danno una coalizione in tenuta, ma anche qualche lieve incremento da parte della pasionaria prestata alle grandi kermesse internazionali. In questi contesti ogni uscita è una gaffe. Prende a pacche sulle spalle gli interlocutori internazionali quando li incontra, a parte la conoscenza stentata delle lingue rileva considerazioni fuori posto ad umoristi russi che danno la sua voce in trasmissione mostrando quale sia il vero livello di elaborazione.

Tutto ciò non muove niente in Giorgia. Il suo popolo continua ad essere con lei. Ed è anche vero che un’opposizione lei non ce l’ha. Con Cinquestelle e PD a pari merito a contendersi la primazia del centrosinistra, i due paiono riconoscere nell’altro il vero avversario, non in Giorgia Meloni. Ed è una condizione che non si sblocca per i prossimi tempi.

Quindi pare proprio che Giorgia per cadere o declinare debba farlo da sola. La pochezza di chi le è attorno, sia come parvente alleato che come parvente oppositore, non la scalfisce.

Ed allora vediamo gli errori che potrebbe fare.

Primo, non andare troppo avanti nella base elettorale personale tanto da poter essere considerata un pericolo per tutto l’establishment: sistema dei partiti, sindacati, forze interne contrapposte che in questo modo si vedrebbero soffocate e potrebbero tentare una fuga per tentare di continuare ad essere – altrimenti stretti in un’alleanza senza voce non esisterebbero più.

Secondo, mai scontentare gli Stati Uniti. Il compito lo ha consegnato: è uscita dall’accordo con la Cina de Le Strade della Seta. Gli States chiederanno qualcosa in termini di sostegno o di mancato sostegno all’Ucraina o ad Israele. Lei dovrà essere conseguente. Rinfarcendolo di sentimenti che arrivano dal profondo del suo essere di destra tanto da apparire veramente credibile, ma dovrà fare il compitino anche in questo caso.

Terzo, imparare a non dire mai di no a nessuno degli alleati. Se proprio non può far a meno di dire no, farlo dire ad altri ma, meglio ancora, portare la richiesta su termini più alti. Rilanciare. Buttarsi oltre l’ostacolo.

Quarto. Non flirtare mai con possibili nuovi alleati. Neanche tenerli come ruote di scorta in caso di ammanco di voti. Qualsiasi trattativa segreta sarebbe conosciuta e lei accusata di doppiogiochismo dai suoi e vituperata per essersi andata a cercare una nuova maggioranza. Renzi e Calenda danno buoni consigli, ma è meglio farli rodere tra loro e agevolare la loro consunzione con la mancanza di decisionalità.

Quinto. Pensare lei al nuovo presidente della repubblica e sostanzialmente concederlo all’opposizione. Presto o tardi Sergio Mattarella darà forfait. Si dovrà pensare a una personalità credibile a livello internazionale. Nel centrodestra non ce n’è. Meglio tentare un’apertura e fare bella figura con le Camere.

Sesto. Spendersi per la presidenza di Mario Draghi come prosecutore dell’opera di Ursula Van Der Leyen. Non gli riuscirà. Ma negli ambienti che contano sarà la dimostrazione che lei la battaglia però l’ha fatta.

Settimo. Non rubare. Questo è il comandamento. Ed è quello che gli italiani in questa fase di crisi proprio non sopporterebbero. Ma, al di là della battuta, il punto segna la necessità di stabilire un rapporto dialettico con la magistratura evitando di avere contraccolpi per piccole o grandi malefatte dei suoi.

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