“La Prefettura mi ha “invitato” ad accogliere una persona a Mandela – ha spiegato il primo cittadino -. Il Comune che guido insiste in una realtà depressa, ai confini del Lazio, nel cuore di una comunità montana. Abbiamo meno di mille abitanti. Un bilancio che non supera i due milioni di euro all’anno. Da quando sono sindaco poi ogni anno devo registrare un taglio dei trasferimenti dal Governo nazionale. Ma le necessità e i bisogni crescono. In paese non c’è lavoro. E con mille sacrifici riusciamo a dare un piccolo contributo a cinque famiglie locali”.
“Qui nessuno parla arabo, al massimo inglese o francese”
Per Scarabotti il problema è che il rifugiato non potrebbe integrarsi in un paese dove nessuno potrebbe comunicare con lui e dove la popolazione potrebbe non essere in grado di interagire con chi ha una religione o abitudini diverse da quelle locali.
“Mi chiedo – prosegue il sindaco di Mandela -, al di là dei trentacinque euro con cui dobbiamo garantire vitto, alloggio, pulizie e altro, come faremo ad assistere una persona rifugiata? Qualcuno in paese parla inglese e francese. Ma l’arabo? Se ci mandano qualcuno che viene dal Medio Oriente ed è musulmano? Mi chiedo come faremo a dare una risposta ad una persona che viene da lontano, con abitudini e un credo religioso diverso dal nostro. A Mandela non abbiamo strutture socio sanitarie preparate all’accoglienza. Manca un interprete o un mediatore culturale. Cosa ne sarà poi della persona? Spero di poter incontrare al più presto il Prefetto di Roma e poter condividere con lui i timori e le preoccupazioni che stiamo vivendo”.
Lo scorso settembre la festa in paese per il Sudafrica e Nelson Mandela
Posizione evidentemente ben lontane rispetto allo scorso settembre quando il sindaco celebrava in pompa magna l’intitolazione del centro anziani a Nelson Mandela durante i festeggiamenti alla presenza dell’ambasciatore del Sudafrica con cucina e musica etnica. (LEGGI Mandela – Il centro anziani intitolato a Nelson Mandela, grande festa sabato 13)
