Giornalisti, rischio carcere per chi divulga notizie di provenienza illecita

Ddl Cybersicurezza: proposti fino a 4 anni di galera, per la diffamazione 4 anni e mezzo

Se il giornalista che diffama rischia

Fino a 4 anni e mezzo di carcere per la diffamazione, 3 o 4 per chi viene a conoscenza di notizie “di provenienza illecita” e le divulga.

E’ la linea che emerge dagli emendamenti presentati al ddl sulla Cybersicurezza all’esame delle Commissioni Giustizia e Affari Costituzionali della Camera.

Sono le 180 proposte di modifica depositate e condivise dalla maggioranza, le più severe arrivano dal deputato di Azione Enrico Costa, noto anche per essere il ‘padre’ della cosiddetta ‘legge bavaglio’, e da Maria Elena Boschi, la parlamentare di Italia Viva, il partito di Matteo Renzi.

“Diritto di cronaca non significa immunità”, ha spiegato all’agenzia Ansa Costa che ha proposto il carcere da 6 mesi a 3 anni per chiunque divulghi informazioni conoscendone la provenienza illecita.

Il deputato del partito di Carlo Calenda ha inoltre messo a punto una norma definita ‘anti-Striano’, riferendosi all’ufficiale della Guardia di Finanza Pasquale Striano accusato dalla Procura di Perugia e dall’Antimafia di migliaia di accessi abusivi alle banche dati su notizie riservate divulgate da alcuni giornali.

La proposta di costa prevede una stretta all’accesso agli archivi informatici che sarà consentito solo a tecnici selezionati attraverso un complesso meccanismo che si basa anche su riconoscimento facciale o impronta digitale.

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Ogni singolo accesso dovrà essere annotato su un Registro tenuto dal “titolare della banca dati” che dovrà aggiornarlo periodicamente e custodire, rendendolo disponibile per ispezioni o controlli, insieme all’elenco dei ‘soggetti abilitati’.

Inoltre Costa chiede ispezioni ministeriali anche alle banche dati e lo spostamento del foro di competenza, oltre ad una limitazione all’uso del Trojan, il sistema di captazione informatico invasivo, spesso usato dalle forze dell’ordine per intercettare.

Secondo il deputato di Azione il Trojan dovrebbe essere autorizzato solo da un giudice collegiale e non per i reati contro la Pubblica Amministrazione, come invece previsto dalla cosiddetta legge Spazzacorrotti voluta dall’allora Guardasigilli Alfonso Bonafede.

L’emendamento presentato dalla deputata Maria Elena Boschi propone il carcere da uno a 3 anni per chi accede abusivamente ad atti del processo penale e la reclusione da 6 mesi a 4 anni per chi detiene “documenti che contengono dati inerenti a conversazioni e a comunicazioni telefoniche, informatiche o telematiche, illegalmente formati o acquisiti o documenti redatti attraverso la raccolta illecita di informazioni”.

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Stessa pena per chi rivela, in tutto o in parte, gli atti attraverso “qualsiasi mezzo di informazione.

Se il fatto poi è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, il carcere può arrivare fino a 5 anni.

“Chi pubblica informazioni che sa essere state rubate attraverso fatti di reato va punito – osserva Costa – perché questo non è diritto di cronaca”.

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