Bertucci come il Conte di Montecristo

Il riscatto dell’ex amministratore delegato di Atac si farà sentire nella formazione delle prossime liste elettorali

“Guardami! Sono Edmond Dantes!” La frase scandita e ripetuta dal Conte di Montecristo quando decide di mostrarsi ai suoi amici e praticare la vendetta, pare la stessa che Adalberto Bertucci esprime quando si mostra ai cronisti. Inutile chiarire che però mentre per il protagonista del romanzo di Dumas c’era stata la prigionia e l’annullazione della propria persona, per l’ex amministratore delegato di Atac Spa c’è il procedimento giudiziario per abuso di potere e la gogna mediatica.

Ma per uno come Adalberto Bertucci dover decidere di stare fuori dai giochi è come stare recluso nel Castello d’If. Ma ora è tornato in piena attività. E vuole togliersi diversi sassolini dalle scarpe.

Bertucci non fa mistero di voler tornare in campo. E non gli importano i tatticismi e le questioni di opportunità con le quali ha sempre dovuto convivere finora.

È come noi fossimo al centro della narrazione di Dumas. Al momento non interessa tanto guardare indietro, le ragioni per cui ha dovuto limitare la sua azione. Ora la cosa che muove nuovamente la scena è capire cosa intenda veramente fare Adalberto Bertucci.

Come Edmond Dantes, abbiamo già detto, sceglie il basso profilo ma si manifesta a chi vuole per essere riconosciuto per chi è effettivamente. Lo stile è del vendicatore. E sempre come il Conte di Montecristo ha ben chiaro coloro che dovranno pagare per la trama nei suoi confronti, Adalberto Bertucci dichiara di volersi rifare del tempo perso. IL profilo è sempre quello dell’individualismo. Come recita la sua cultura di destra e il culto della personalità in grado di dominare sempre l’esistente. Come nel 1964 analizza Umberto Eco in una sua raccolta di saggi, Apocalittici e Integrati, “troneggia il topos principe del feuilleton, il Superuomo. (…). Dumas del superuomo tenta una sconnessa e ansimante psicologia, mostrandocelo diviso tra la vertigine dell’onnipotenza (dovuta al denaro e al sapere) e il terrore del proprio ruolo privilegiato, in una parola, tormentato dal dubbio e rasserenato dalla coscienza che la sua onnipotenza nasce dalla sofferenza”.

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Nelle dichiarazioni Adalberto Bertucci non fa mistero di essere una persona con disponibilità economiche e con la capacità di saperle gestire, con loro anche le leve del potere.

Vuole rientrare in gioco. Magari con una candidatura. E non c’è bisogno ci sia il partito a dare l’approvazione. Non c’è bisogno tantomeno di sedute in cui il partito riesca a spuntarla sul resto dello schieramento per porsi come competitor. Ha un’esperienza consolidata sul campo iniziata sugli scranni del Consiglio comunale di Guidonia, lambendo la candidatura alla Camera dei Deputati ma cogliendo la candidatura in Consiglio comunale a Roma. Ciò in virtù del fatto che Bertucci non rappresenta solo un partito o uno schieramento a Guidonia ma anche categoria professionale: i commercialisti e consulenti del lavoro. Quindi conosce bene le leve dell’economia e i tanti sconosciuti protagonisti, romani e non.

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Quindi, stante alle sue parole, potremmo quindi avere una candidatura caratterizzata da Adalberto. E non sarà importante se tutti gli altri gli verranno dietro. Fedele alla fisionomia del superuomo di massa, descritta da Umberto Eco, colui che sente di avere su di sé un’investitura dal destino rompe gli indugi e inizia la sua marcia.

Ma a questo punto gli eventi che seguiranno si staccano da lui. Saranno gli altri a fare i conti con lui. E il problema del neo-civismo politico lanciato parla bene anche a chi sta a sinistra assumendo quei caratteri del trasversalismo presente nelle liste civiche.

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